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Ep. 18 – Natee – หน้าที่

ragazza con tazza di tè in mano e titolo del podcast

MyFedesign Chiacchiere e Tea – un Podcast sulla Thailandia

Nella puntata del podcast sulla Thailandia di oggi vedremo insieme il termine Natee ( หน้าที่ ) che ci ha dato diversi spunti di riflessione sul termine “dovere”, e sui suoi legami con le parole responsabilità e diritti.

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Buon ascolto (o buona lettura)!


Benvenuti sul podcast sulla Thailandia di MyFedesign. Io sono Fede, e sono qui per farvi un po’ di compagnia mentre sorseggio una buona tazza di tè caldo.

Se volete potete fare pausa con me, oppure potete tenermi in sottofondo mentre fate qualche attività noiosa, come allenarvi, lavare i piatti o pulire la casa.

In questa serie vi parlerò di alcune frasi e parole thailandesi particolari, perché non hanno una traduzione immediata, oppure perché non hanno un corrispettivo italiano, o ancora perché nascondono una curiosità riguardante la cultura thailandese.

Se vi interessano questi argomenti, sappiate che potete trovare altri post interessanti sul blog myfedesign.com, mentre se volete approfondire la lingua thailandese vi consiglio di passare sul nostro canale YouTube.

Ma ora, passiamo subito all’argomento di oggi.

La frase di oggi e il tè del giorno:

Anche il termine di oggi ha catturato la mia curiosità solo dopo averlo sentito usare in ambito lavorativo. Si tratta della parola “Natee” (หน้าที่) che significa “dovere”. Ad accompagnare le nostre chiacchiere oggi voglio presentarvi un tè speciale: il London Fog.

Si tratta di una bevanda che viene realizzata a partire da un tè che conosciamo già, ovvero l’Earl Grey. Personalmente l’ho scoperta grazie al canale YouTube di Pick Up Limes, creato da Sadia, una dietista vegana, di origini Afghane, nata e cresciuta in Canada e che ora vive nei Paesi Bassi.

La ricetta di Sadia prevede di mettere a bollire il latte, che può essere di mandorla, di soia o latte di mucca, a seconda delle preferenze personali, insieme a due bustine di Earl Grey e aggiungendo dei bastoncini di vaniglia. Tutto qui. Volendo, Sadia nella sua ricetta (che trovate qui) aggiunge anche un pizzico di cannella e un po’ di sciroppo d’acero per rendere la bevanda un po’ più dolce.

Io personalmente preferisco preparare un po’ di tè Earl Grey e aggiungergi il latte schiumato, che preparo con la macchinetta apposita che mi ha regalato mia mamma per il compleanno. Per darvi un’idea delle dosi, sono circa un quarto di tè e tre quarti di latte schiumato, e non aggiungo né zucchero né miele.

Si può quindi dire che il London Fog originale sia un tè con latte dal gusto dolce, dovuto alla vaniglia, e con un retrogusto di bergamotto che però non risulta così forte come nell’Earl Grey classico.

Insomma, come abbiamo visto con il Lady Grey, questo Earl Grey non è un tè proprio facile da apprezzare, e il London Fog altro non è che una variante inventata, anche questa volta, da una donna.

La cosa buffa è che, nonostante il nome “London Fog”, letteralmente “Nebbia di Londra”, che richiama appunto il colore della bevanda, questo tè è stato inventato a Vancouver, in Canada.

Si tratta di un tè abbastanza recente, nato negli anni ’90 dall’inventiva della signora Mary Loria, di cui però si sa poco e nulla. L’unica cosa certa è che Mary Loria fosse una frequentatrice del Buckwheat Cafè di Vancouver e che all’epoca fosse incinta.

In un’intervista (che potete leggere qui), la donna ha rivelato che le nausee dovute alla gravidanza avevano cambiato molto il suo senso del gusto, e poiché Mary Loria amava cominciare la giornata con una bella tazza di caffè, cominciò a pensare ad un’alternativa meno pericolosa per il suo stato ma che le desse comunque il piacere di bere qualcosa di caldo e gustoso.

Così Mary Loria si recò al suo bar e chiese al barista di prepararle un tè Earl Grey ma con latte scremato. Il gusto le piacque talmente tanto da cominciare non solo a consigliarlo ad amici e parenti, ma anche di richiederlo in altre caffetterie.

Il passaparola crebbe, e il London Fog cominciò a diventare molto popolare; Mary Loria però ammette di non aver mai dato un nome alla sua invenzione, limitandosi ad ordinare un semplice “tè Earl Grey con latte scremato”. Forse la cosa fu dovuta anche al fatto che, dopo il parto, Mary Loria tornò a consumare tè e caffè, relegando il London Fog ai ricordi.

Fu una grande sorpresa per lei scoprire che la nuova bevanda tanto di moda nei vari bar della sua città, con quel nome così londinese, altri non era che la sua creazione! Persino lei si domanda chi sia stato a battezzare così quel tè… e chissà, forse questo è un mistero che non verrà mai risolto.

Il significato di Natee

La parola di oggi è “Natee” (หน้าที่) che si può tradurre con “Dovere“. Si tratta di una parola che si può sentire spesso sia nelle conversazioni quotidiane, sia nei contratti di lavoro o nei documenti scritti. Probabilmente sentendo il termine “dovere” avete pensato a doveri giuridici o morali, ovvero degli obblighi a cui bisogna sottostare indipendentemente dai propri interessi personali.

Ogni persona ha diversi doveri da compiere: in ambito familiare, in ambito sociale, in ambito lavorativo… Insomma, in qualsiasi campo in cui ci troviamo coinvolti abbiamo automaticamente dei doveri a cui sottostare.

Mai Chai Natee, ovvero “non è di mia competenza”

Ma partiamo dal momento che ha attirato la mia attenzione su questa parola: lavoravo in un ufficio di interior design ad Hatyai, lo stesso degli scorsi aneddoti di cui vi ho raccontato nelle scorse puntate dei podcast, ed eravamo in riunione. Non ricordo neppure qual era il progetto di cui stavamo parlando, o quale fosse il problema da risolvere; ciò che ricordo perfettamente è una mia ormai ex collega che all’improvviso sbraitò, alzando la voce e scandendo bene la frase “Mai Chai Natee!” (ไม่ใช่หน้าที่).

La traduzione letterale di questa frase non rende il vero significato che si voleva esprimere; Mai Chai Natee non lo tradurrei come “non è un dovere” bensì come “non è di mia competenza” oppure come “non è una mia responsabilità” o ancora “non è qualcosa che devo fare io”.

Insomma, qualsiasi cosa fosse il punto della discussione, la mia ex collega ha sottolineato con questa frase come quella cosa che sarebbe dovuta essere fatta non era tra le cose che considerava come “doveri” derivanti dalla sua posizione nell’ufficio.

Quella situazione mi aveva colpito sia perché sottolineava alcuni problemi interni allo studio, ma soprattutto perché innalzava un muro contro il quale non si poteva nulla; se una persona ti rinfaccia che quello che le stai chiedendo di fare non è un suo dovere, ed ha ragione, cosa le puoi dire?

Non è questo il caso, ma se ad esempio ad uno stagista si chiede di preparare il caffè, o di andarci a fare commissioni personali invece di insegnargli effettivamente come si lavora nello studio, se lo stagista decidesse di averne abbastanza e di usare la carta del “Mai Chai Natee” a queste richieste, che effettivamente non sono di sua competenza, credo che sarebbe davvero difficile rispondergli per fargli cambiare idea senza perdere la faccia.

Da una parte capisco che prendersi dei “doveri” in più, ovvero ricoprire compiti anche al di fuori della nostra responsabilità possa rivelarsi con il tempo un’arma a doppio taglio.

Nella maggior parte dei casi, invece di ricevere un riconoscimento dell’impegno e del lavoro svolto, si potrebbe dare l’impressione di essere disposti a fare qualcosa in più gratuitamente.

Chi ha lavorato come dipendente sa bene quanto è importante non mostrarsi troppo disponibili a occuparsi di mansioni al di fuori della propria competenza, perché il capo potrebbe approfittarsene per far fare dei lavori gratuitamente senza alcune retribuzione.

Eppure una parte di me tende a capire che è importante essere disposti ad assumersi dei “doveri”, anche al di fuori delle proprie responsabilità, per il bene comune dell’azienda. Quello che voglio dire è che se io mi occupo di design e mi rifiuto di rispondere al telefono dell’ufficio mentre la mia collega che si occupa della vendite è in bagno perché “rispondere al telefono non fa parte dei miei doveri da designer”, allora c’è qualcosa che non va.

Dall’altra parte della linea potrebbe esserci un grosso cliente, o un fornitore, o persino il capo che chiama per indire una riunione straordinaria; la cosa più logica sarebbe rispondere al telefono, dire che la nostra collega al momento è occupata, e chiedere se si vuole lasciare un messaggio o se si può aspettare in linea.

Si tratta della cosa più logica da fare, ma mi è capitato di vedere gente fare finta di nulla e ignorare le telefonate perché “Mai Chai Natee”.

Doveri e responsabilità

In Thailandia il concetto di dovere è strettamente legato all’idea di responsabilità e al concetto per cui tutti devono sapere quali sono i loro doveri e adempierli. In campo lavorativo, quando si leggono le inserzioni di lavoro si può proprio trovare la voce “Natee” dove compaiono tutti i compiti e le responsabilità di quel determinato impiego.

Ma anche in campo sociale e familiare esistono diversi doveri che sono conosciuti da tutti. Ad esempio, una frase che si sente pronunciare spesso è che il prendersi cura dei propri genitori “Pen Natee Kong Luuk” ( เป็นหน้าที่ของลูก ) ovvero “è dovere di un figlio”. Ma quando il figlio è ancora piccolo, prendersi cura di lui “Pen Natee Kon Po Mae” ( เป็นหน้าที่ของพ่อแม่ ) “è dovere dei genitori”.

Quando viene rinfacciato a qualcuno che quello è un suo dovere in quanto figlio o genitore o qualsiasi posizione sociale, dalla maestra fino al monaco buddista, c’è poco da fare se non chiudere la bocca, ragionare su ciò che si è fatto o non si è fatto, rimboccarsi le maniche e rimediare.

Nessuno può sfuggire ai propri doveri, ma non per questo essi devono essere vissuti in maniera negativa. Non pensiamo al dovere come ad un obbligo, ad un compito ingrato da portare a termine, ma come ad un qualcosa che ci permette di dare il nostro contributo alla comunità.

Percezione del concetto di “diritti e doveri” in Italia

Quando si parla di doveri, inevitabilmente si parla anche di diritti. In thailandese si parla dunque di Natee, doveri e Sitti ( สิทธิ ), diritti.

Si tratta di un binomio che ricordo di aver studiato fin dalle elementari, eppure la parola “dovere” è sempre stata legata, almeno nella mia testa, ad una concezione negativa, come ad un qualcosa che bisogna fare non perché si vuole o perché è giusto farlo, ma perché ci viene imposto. E come potete ben immaginare, ai bambini non piace quando gli si impone di fare qualcosa.

Forse questa concezione deriva dall’idea fascista per cui allo Stato appartengono tutti i diritti, mentre i cittadini possiedono tutti i doveri nei confronti dello Stato. Tra l’altro, in questa concezione, i doveri corrispondono a beni materiali, tanto che se si continua a leggere nella definizione presentata su Wikipedia “la somma dei doveri assolti da ciascun cittadino crea una massa di provvigioni che lo Stato possa in seguito redistribuire ai cittadini”.

In questa concezione l’individuo è un essere effimero mentre lo Stato rappresenta l’unità di tutte le generazioni, diventando quindi un essere quasi eterno, che prende dall’individuo per poi ridistribuire equamente a tutti i cittadini delle varie generazioni di un determinato periodo storico.

Ma da questa definizione sembra quasi mancare un passaggio: se è vero che ad ogni diritto corrisponde un dovere, qui sembra quasi che lo Stato non abbia dei veri doveri nei confronti dei cittadini – almeno, per come è formulata la frase (non ho studiato Diritto, quindi forse è meglio che mi fermi qui, sperando di non aver male interpretato questa concezione).

Bambini e doveri

Spesso il dovere viene immaginato come un qualcosa di astratto, un compito da assolvere, un qualcosa da fare.

Quando si spiega ai bambini il concetto di dovere, spesso si usa una definizione semplicistica che recita più o meno così: i doveri sono regole da rispettare per poter vivere insieme agli altri felicemente, in assenza di conflitti.

Associare l’idea di “dovere” con il termine “regola” implica anche la presenza di una punizione; se non si rispetta una regola, si viene puniti, così è normale che i bambini pensino che se non si rispetti un dovere si debba ricevere una punizione.

Eppure in thailandese i vari doveri di una persona non mi sembrano legati ad un concetto per cui devi fare una cosa altrimenti verrai punito, quanto piuttosto all’idea di dover assolvere ai propri doveri perché è giusto che sia così.

Si tratta di una differenza molto sottile, ma che può far percepire il concetto di Natee in maniera molto differente, non trovate?

Una piccola storia per concludere

Per concludere, torniamo a casa di Corradino. Ebbene sì, non sempre per i temi che scelgo riesco a trovare delle storie, favole o fiabe adatte; così ho deciso che in questi casi mi affiderò al piccolo Corrado e alla sua famiglia, perché ci aiutino a mostrare con un esempio semplice il concetto del giorno.

Era un pomeriggio d’estate come tanti, e Corradino stava giocando in soggiorno con le costruzioni, mentre Max schiacciava un pisolino accanto a lui.

Corrado amava creare e costruire tante casette, disporle sul pavimento e creare percorsi da attraversare con le macchinine che il papà gli aveva regalato lo scorso Natale.

E proprio mentre completava il terzo giro con la macchinina, ecco che Corradino sentì una leggera pressione sulla schiena, come quella di due zampe: era Max che si era svegliato, e si era appoggiato sulla sua schiena per richiamare la sua attenzione. Con i suoi occhioni giocosi sembrava dirgli “Ehi Corradino! Io sono pronto per andare a correre fuori, vieni?”

Corradino mollò tutti i giochi sul pavimento, e corse verso la porta sul retro, seguito a ruota da Max. Erano fuori da appena una decina di minuti, che il piccolo Corrado si sentì chiamare dalla mamma, che gli chiedeva come mai avesse lasciato tutti i suoi giochi lì per terra.

Dopo li metto a posto!

– Se hai finito di giocare, dovresti metterli via subito! È pericoloso lasciarli in giro così… – lo riprese la mamma

– Se ti danno fastidio, puoi metterli a posto tu! – rispose semplicemente Corrado, ridendo.

Ma la mamma non rideva affatto: non le piaceva quel tono, e così mise le braccia sui fianchi ed alzò la voce:

– Corrado! È tuo dovere mettere a posto i tuoi giochi!

– I doveri sono noiosi! Non lo voglio fare!

La mamma non fece in tempo a rispondere che Corrado stava già correndo dall’altra parte del giardino, inseguendo Max. Allora, la mamma scosse la testa, e cominciò a pensare.

Qualche ora più tardi, Corrado tornò in casa, e trovò la mamma sdraiata comodamente sul divano, intenta a guardare un telefilm alla tv.

– Mamma ho fame! Dov’è la merenda?

– Non avevo voglia di farla… – rispose la mamma con aria svogliata, facendo attenzione a non dare troppe attenzioni al bimbo.

– Come? Ma io ho fame! Mi devi preparare la merenda… – cominciò a lamentarsi Corradino – è… è un tuo dovere!

– Ma i doveri sono noiosi! – rispose la mamma, usando le stesse parole che il piccolo aveva usato quello stesso pomeriggio – penso proprio che invece me ne starò qui sul divano a guardare questo film.

Corradino cercò qualcosa da dire, e gli tornarono in mente le parole che i suoi genitori gli avevano insegnato: i doveri possono essere noiosi, ma è importante che li rispettiamo perché se non lo facciamo possiamo creare problemi ad altre persone.

E il dovere della mamma era quello di preparare i pasti… ma se la mamma decideva che non avrebbe più cucinato, come avrebbe fatto? Doveva rinunciare a pastasciutta, panini, pizza, patatine fritte? No, non avrebbe rinunciato alle patatine… ma come poteva convincere la mamma a preparare la merenda?

– I doveri sono noiosi, però è importante farli… – cominciò a bassa voce – facciamo che se io faccio il mio dovere e metto i giocattoli a posto, tu fai il tuo e mi prepari merenda? Per favore…? – concluse Corradino sfoggiando il suo più bel sorriso e facendo gli occhi dolci.

La mamma gli rispose sorridendo, spense la tv, si mise seduta e gli diede un bacio sulla fronte.

– Va bene tesoro. Però vedi, i doveri non sono per forza noiosi. Vuoi vedere come la mamma ti insegna a mettere a posto i tuoi giochi in maniera divertente? E poi dopo andiamo a preparare insieme la merenda, ti va?

E così la mamma si inventò un gioco per mettere via tutte le costruzioni in maniera divertente, chiamando uno alla volta i colori delle varie casette che Corradino aveva costruito, e poi andarono insieme in cucina a preparare una bella merenda a base di pane, burro e marmellata!

E Corradino dovette ammettere che si era divertito a fare entrambe le cose: forse non era vero che i doveri erano noiosi… Di sicuro però non si sarebbe più lamentato dei suoi doveri: non poteva rischiare che la mamma o il papà decidessero di non fare più i loro doveri, altrimenti sarebbero stati davvero grandi guai!

A volte si dà per scontato che gli altri facciano sempre il loro dovere, indipendentemente se gli piaccia o meno, perché a noi fa comodo che sia così. Ma alla stessa maniera, dobbiamo ricordarci che anche gli altri si aspettano che noi rispettiamo sempre i nostri doveri; e se ci impegniamo tutti insieme, possiamo vivere più serenamente con gli altri.

Conclusione

Grazie per essere arrivati fino alla fine di questo episodio del podcast di MyFedesign.

Oggi abbiamo visto insieme il termine Natee ( หน้าที่ ) che ci ha dato diversi spunti di riflessione sul termine “dovere”, e sui suoi legami con le parole responsabilità e diritti.

Se vi è piaciuta questa puntata e volete lasciarmi un vostro commento, potete trovare tutti gli episodi sia sul blog myfedesign.com sia nella playlist sul canale YouTube MyFedesign.

E mentre sorseggio il mio ultimo sorso di tè, vi auguro buona giornata e spero di rivedervi anche nella prossima puntata.

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