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Buddismo ed etica

Manifesto 2000 - buddismo e etica
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Il buddismo è spesso considerato come una religione. Se si approfondisce l’argomento però, si può presto capire che più che una religione il buddismo è da interpretare come una filosofia di vita. Forse è per questo che non ci deve stupire di trovare collegamenti tra buddismo ed etica.

Oggi posso finalmente affermare di aver finito il libro “Le quattro verità dell’esistenza” del monaco vietnamita Thich Nhat Hanh. Si tratta di un libro che, personalmente, non trovo si presti ad una lettura veloce. Ogni capitolo, seppur breve, dà moltissimi spunti di riflessione che possono voler giorni prima di essere assimilati a fondo. E per mettere in pratica quasi la totalità degli esercizi presentati nel libro, ci vuole tutta una vita, o quasi.

Ma oggi non voglio parlare delle Quattro Nobili Verità, né dell’Ottuplice Sentiero. Oggi voglio approfondire un capitolo in particolare del libro, quello dedicato al Manifesto 2000.

Manifesto 2000 - buddismo e etica
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Cos’è il Manifesto 2000

Ammetto che non sapevo dell’esistenza di questo manifesto, sebbene nel 2000 non fossi così piccola da ignorare completamente ciò che accadeva nel mondo. Eppure questo importante Manifesto mi era sfuggito.

Il Manifesto 2000 fu redatto da un gruppo composto da diversi personaggi insigniti del Premio Nobel per la Pace, con la collaborazione dell’Unesco.

Il nome originare è: Manifesto 2000 for a culture of Peace and Non-Violence, ed è stato firmato da più di 75 milioni di persone. Non solo capi di stato, ma anche figure importanti (qui il link alla pagina ufficiale con i nomi di chi ha firmato il manifesto).

La proposta presentata da questo gruppo alle Nazioni Unite fu la seguente: dichiarare i primi 10 anni del XXI secolo un decennio per la non-violenza e la pace.

E per permettere a chiunque di partecipare a questo ideale, fu redatto questo Manifesto. Qui è possibile trovare 6 indicazioni da seguire per permettere a chiunque di portare un po’ di pace intorno a sé e dentro di sé. Si tratta di uno strumento efficace per facilitare a chiunque sia interessato a seguire una vita dedita alla non-violenza.

Attenzione: ho parlato di “indicazioni”, non regole. Il Manifesto è una guida da seguire per costruire un futuro migliore, non è un elenco di regole da seguire alla perfezione. Perché se ci sono delle regole, si suppone ci siano anche delle punizioni per chi non le segue.

L’obiettivo del manifesto invece è di invitare le persone a seguire queste indicazioni non per paura della penitenza, ma perché consapevoli dell’apporto positivo che questo stile di vita può portare non solo a se stessi, ma anche agli altri.

Manifesto 2000 - buddismo e etica
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Etica buddista

Il buddismo impegnato non è semplicemente il buddismo coinvolto in problemi sociali, ma significa che pratichiamo la consapevolezza ovunque noi siamo, qualsiasi cosa stiamo facendo, in qualsiasi momento.

Thich Nhat Hanh

Il termine “etica” nasconde in sé infinite e profonde discussioni e riflessioni su ciò che è giusto fare e ciò che la società deve garantire.

L’etica, o filosofia morale, non si limita a studiare il comportamento umano, ma distingue i comportamenti giusti, buoni e leciti dai comportamenti ingiusti, cattivi e illeciti sulla base di un modello comportamentale ideale, la morale.

Il monaco Thich Nhat Hanh ci propone di fare un passo indietro, e invece di parlare di etica legata alla comunità o alla società, ci invita a partire dal singolo individuo. Per far sì che una comunità sia civile e lecita, è importante che i singoli cittadini di quella comunità abbiano un comportamento civile e lecito.

Ma come può un individuo comportarsi in modo etico, in modo da non nuocere a sé e al prossimo? Le sue risposte possono essere riassunte dagli insegnamenti di Buddha, ed in particolare dal concetto di “consapevolezza”.

Manifesto 2000 - buddismo e etica
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Cosa significa essere consapevoli

Il buddismo afferma che la consapevolezza sia il riuscire a percepire e capire la sofferenza presente dentro di noi e intorno a noi. La sofferenza è il primo soggetto su cui Buddha si fermò a meditare (abbiamo parlato del rapporto tra sofferenza e buddismo in questo post), ed anche noi possiamo usare questo stesso concetto per fare qualche ragionamento.

Nel mondo possiamo vedere moltissime forme di sofferenza; sebbene le situazioni di sofferenza possano essere le più disparate, c’è una cosa che le accomuna: il sentimento di “sofferenza”.

Questo sentimento è comune a tutti gli esseri umani, e si possa dire che in qualche modo li unisce. È per questo motivo che si riesce a provare pietà per qualcuno che sta soffrendo perché noi stessi abbiamo sperimentato qualche forma di sofferenza.

La sofferenza non può essere evitata: prima o poi capiterà a tutti di soffrire. Le modalità e i tempi però, possono essere molto diversi l’uno dall’altro. Ma la sofferenza, così come la felicità, è ciò che accomuna noi e gli altri.

Si tratta di un sentimento umano che va al di là della lingua, della religione, della nazione di appartenenza e delle idee. È ciò che ci permette di invalidare l’identità di “diverso” o “altro”, permettendoci di compatire insieme ad altri individui uno stesso dolore. (Quando parlo di “compatire” lo intendo nel suo significato latino di “soffrire insieme”). La sofferenza ci accomuna e fa sparire tutte le nostre diversità.

Ma questo può accadere solo se si ha davvero consapevolezza di questo concetto; una volta interiorizzata l’interconnessione tra tutti gli esseri viventi, e capiti i legami invisibili che ci collegano agli altri, ci sarà facile fare alcune semplice considerazioni, tra cui la più banale:

Se gli altri soffrono meno, anche io soffro meno.

Questa affermazione racchiude un concetto sì banale, ma davvero difficile da mettere in pratica. Troppo spesso si pensa che far soffrire qualcuno che ci ha fatto soffrire a sua volta ci renderà felici; ma causare sofferenza ad altri non può farci del bene.

Causare della sofferenza ad altri, significa immettere altra sofferenza nel mondo. Rendere gli altri felici, parallelamente, significa immettere altra felicità nel mondo.

Questa dualità dovrebbe aiutarci a comprendere quale via seguire, eppure, soprattutto ai nostri giorni, la via della violenza sembra essere la più facile da seguire. Ma forse è solo perché non tutti sanno davvero su cosa si fondi la non-violenza, e come essa funzioni.

Qui sotto voglio lasciarvi il testo del Manifesto con le sue 6 indicazioni per percorrere il sentiero della non-violenza. Non si tratta di concetti nuovi, e sebbene teoricamente sia facile accettarli come giusti, vedrete che applicarli tutti e sei alla vita quotidiana non è affatto facile.
Ma non fatevi scoraggiare: sarà anche un’impresa difficile, ma non si tratta di un’impresa impossibile.

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Manifesto 2000 per una cultura della nonviolenza e della pace

Lanciato in occasione dell’Anno internazionale della cultura della pace, ecco il testo integro del Manifesto:

Il terzo millennio deve essere un nuovo inizio per tutti. Insieme possiamo trasformare la cultura della guerra e della violenza nella cultura di pace e della non-violenza.

A questo scopo è necessaria la partecipazione di ciascuno. Questo può dare ai giovani e alle future generazioni dei valori che possono ispirarli a dare forma a un mondo di dignità e armonia, un mondo di giustizia, solidarietà, libertà e prosperità.

La cultura della pace rende possibile uno sviluppo sostenibile, la tutela dell’ambiente e la realizzazione personale di ogni essere umano.

Il Manifesto ha l’obiettivo di favorire la consapevolezza e l’impegno individuale: non è né un appello, né una petizione indirizzata ai governi o ad autorità superiori.

Il Manifesto 2000 afferma che è responsabilità di ogni essere umano tradurre nelle esperienze reali della vita quotidiana i valori, gli atteggiamenti e i modelli di comportamento che ispirano la cultura della pace.

Chiunque può agire secondo lo spirito della cultura della pace, nell’ambito della propria famiglia, del proprio luogo di lavoro, quartiere, città o regione, divenendo portatore di un messaggio di tolleranza, solidarietà e dialogo.

Riconoscendo la mia parte di responsabilità per il futuro dell’umanità, in particolare per i bambini di oggi e delle future generazioni, mi impegno nella vita quotidiana, in famiglia, sul lavoro e nella mia comunità, nel mio paese, nella mia regione a:

  1. Rispettare la vita e la dignità di ogni persona, senza discriminazioni o pregiudizi;
  2. Praticare la non-violenza attiva, rifiutando la violenza in tutte le sue forme: fisica, sessuale, psicologica, economica e sociale, in particolare nei confronti dei più deboli e vulnerabili, come i bambini e gli adolescenti;
  3. Mettere a disposizione parte del mio tempo e delle mie risorse materiali con uno spirito di generosità per porre fine all’esclusione, all’ingiustizia e all’oppressione politica ed economica;
  4. Difendere la libertà di espressione e la diversità culturale, scegliendo sempre il dialogo e l’ascolto piuttosto che il fanatismo, la diffamazione e il rifiuto del prossimo;
  5. Promuovere un comportamento responsabile da parte dei consumatori e delle pratiche di sviluppo che rispettino tutte le forme di vita e preservino l’equilibrio naturale del pianeta;
  6. Contribuire allo sviluppo della mia comunità, con la piena partecipazione delle donne e il rispetto per i principi della democrazia, con l’obiettivo di creare insieme nuove forme di solidarietà.
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