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La vicenda dei ragazzi nel Tham Luang

Photo by sisidea | Facebook

Con il post di oggi voglio parlare di un fatto avvenuto a cavallo tra giugno e luglio del 2018 che ha interessando il mondo intero: ovvero della vicenda dei 13 ragazzi (11 ragazzi della squadra di calcio dei “cinghiali” [MOO PAH – letteralmente, maiale selvatico], il loro allenatore di 25 anni e il suo vice) intrappolati nella grotta a Chiang Mai, e ritrovati dopo 9 giorni di ricerche.

Non starò qui a raccontare cosa è successo (anche perché non c’è ancora una versione ufficiale della storia, e i giornalisti sono stati avvertiti di evitare ogni domanda che potrebbe causare stress emotivo ai ragazzi, e anche chi è già uscito è stato portato subito in ospedale, lontano da microfoni e domande inopportune) né di come si sono svolti i soccorsi, perché immagino che molti abbiano già avuto modo di leggere della vicenda sulle varie testate internazionali, anche se vorrei fare una precisazione.

Non è stata rilasciata al momento al una versione ufficiale del perché i ragazzi siano entrati nella caverna, e sebbene ho letto che alcuni giornali italiani hanno riportato come sarebbe stato il coach a organizzare il tutto e che avrebbe già anche chiesto scusa, i giornalisti thailandesi non hanno fatto interviste dirette ai ragazzi né all’allenatore.

Inoltre già al secondo-terzo giorno di ricerche questa versione è stata messa in dubbio da alcune dichiarazioni di altre persone che si trovavano in zona o che avevano visto i ragazzi prima dell’incidente.

A causa di alcune dichiarazioni indiscrete e non veritiere riferite da uno dei soccorritori di origine belga, che avrebbe comunicato alla stampa belga di come durante uno dei meeting a cui aveva partecipato si era arrivati alla conclusione per cui i ragazzi sarebbero dovuti rimanere lì per ben 4 mesi perché le autorità thailandesi non avevano i mezzi necessari per tirarli fuori, cosa questa assolutamente non vera; anzi, le autorità hanno cercato diversi modi e analizzato diverse soluzioni, sempre con il consulto di specialisti del settore sia thailandesi sia stranieri, per riuscire a portarli fuori il prima possibile, e come ben sappiamo oggi, ciò e stato possibile grazie alla collaborazione di tutti.

Nell’immagine qui sopra potete vedere un’immagine significativa realizzata dall’artista SISIDEA dove potete vedere diversi animali, ognuno di loro con un significato ben preciso:

  • I cinghiali rappresentano i ragazzi intrappolati. Il nome del loro team è infatti “team Moo Pah” che significa letteralmente il team dei cinghiali
  • L’elefante bianco rappresenta il governatore Narongsak
  • I cavalli bianchi i soccorritori – in particolare il cavallo con la croce rossa rappresenta i medici
  • Le foche rappresentano la Thai Navy Seal, ovvero la squadra delle forze speciali della marina militare, tra cui anche una foca con l’aureola, a rappresentare il soccorritore che ha perso la vita durante le operazioni
  • Le rane rappresentano i sommozzatori
  • I leoni rappresentano i soccorritori dal Regno Unito e dal Belgio
  • Il canguro rappresenta i soccorritori dall’Australia
  • Il panda rappresenta i soccorritori dalla Cina
  • La gru rappresenta i soccorritori dal Giappone
  • L’alce rappresenta i soccorritori dalla Svezia
  • La tigre rappresenta i soccorritori dalla Birmania
  • L’elefante marrone rappresenta i soccorritori dal Laos
  • Il cane rappresenta i cani delle squadre cinefili K9
  • Il martin rappresenta L’ arrampicatore thailandese Libong (che era stato consultato per cercare una via d’entrata dall’esterno nella parte superiore al punto dove i ragazzi si trovavano)
  • Il naga rappresenta il team thailandese che si è occupato di liberare i corsi d’acqua all’interno della grotta e degli scavatori che hanno cercato i ragazzi sin dai primi giorni
  • L’aquila rappresenta i soccorritori americani
  • Iron man rappresenta il signor Elon Musk, imprenditore americano che ha messo a disposizione un mini sommergibile per le operazioni di salvataggio
  • Gli uccelli rappresentano i media che hanno seguito la vicenda e tenuta informata la popolazione
  • I corvi rappresentano invece tutti coloro che hanno influenzato negativamente la vicenda, commentandola mettendo in mostra solo i lati negativi, mettendo in giro anche la voce per cui i ragazzi non sarebbero mai stati trovati o che ormai erano già morti.

(Il disegno qui sopra è stato aggiornato solo stamattina e non ho trovato i riferimenti per gli altri animali che sono stati aggiunti solo in un secondo momento, me presuppongo che rappresentino altri stati che hanno partecipato alle operazioni di salvataggio)

Tham Luang – la caverna “Luang”

Dopo questa introduzione vorrei andare oltre la notizia è concentrarmi invece su quello che i thailandesi hanno “costruito” intorno alla vicenda, o meglio, a come essi hanno recepito questa storia e al significato che gli hanno dato.

Tra le leggende metropolitane che hanno cominciato a diffondersi, ce n’è una che mi ha particolarmente colpito e che ho sentito ripetere da diverse fonti (anche i giornalisti amano soffermarsi su queste credenze, e tra poco capirete perché le chiamo tali).

Si dice che la montagna al cui interno si trovano le grotte Luang fosse stata teatro di una storia d’amore molto travagliata.

Chao Mae Nang Non, figlia del “capo del villaggio” (quando parlo di “capo villaggio” immaginatevi un contesto feudale, con un palazzo dove vive la famiglia del capo del villaggio con tanto di servitù, mentre le persone “semplici” tra cui i contadini e gli agricoltori vivevano poco oltre le mura) era molto amata da suo padre, che le voleva molto bene e usava consigliarsi con lei sulle questioni del villaggio.

Ella si innamorò di uno stalliere di corte, ma il padre non approvava quella relazione, così i due fuggirono insieme dal palazzo.

Il padre quando scoprì della fuga, mandò immediatamente 12 soldati a cercarli, perché uccidessero l’uomo e riportassero indietro la sua amata figlia.

Le cose però non andarono come aveva pianificato: la coppia si era rifugiata nel Tham Luang, e le grotte erano così numerose e ramificate che la coppia stava riuscendo a evitarli.

Essi dunque pensarono di aspettare nella foresta, convinti che prima o poi l’uomo sarebbe dovuto uscire alla ricerca di cibo.

E così fu: una volta individuatolo, lo uccisero. Vedendo che l’innamorato non tornava, e pensando al peggio, la ragazza si suicidò, usando il suo fermaglio per capelli, un lungo bastoncino appuntito che usava per tenere i capelli raccolti, e i soldati non poterono che riportare il corpo senza vita al padre. Il padre, distrutto dal dolore, promise a sé stesso che avrebbe espiato il suo peccato consacrandosi alla vita da monaco, anche nelle vite future.


Durante le ricerche per i ragazzi, anche diversi monaci vennero a dare una mano, e a sostenere i soccorritori e le famiglie con le preghiere: tra questi vi era Pra Krubabunjun.

Molti sono convinti che questo monaco altri non sia che la reincarnazione del padre di Chao Mae Nang Non, anche a causa delle dichiarazioni di alcune persone (purtroppo non sono riuscita a risalire alla prima fonte della storia, ma esistono moltissimi post su Facebook e video su YouTube che ne parlano) per cui la stessa Chao Mae Nang Non sarebbe comparsa in sogno per chiedere la presenza di Pra Krubabunjun nella zona del Tham Luang.

Secondo quanto dichiarato dalla figlia del capo del villaggio, le anime dello stalliere suo innamorato e dei soldati che lo uccisero sono venute a incontrarsi nuovamente in questa vita, e corrisponderebbero alle 13 persone disperse nella grotta: è la stessa Chao Mae Nang Non a dichiarare che è stata lei stessa a impedir loro di uscire per poter far arrivare l’anima del padre, reincarnata nel monaco Pra Boubabunjin, e poterle chiedere perdono per averlo deluso e poter riceverne il perdono, così da poter riprendere il ciclo di rinascite.

Si dice infatti che l’anima di Chao Mae Nang Non sia stata costretta a rimanere lì, nel luogo dove si tolse la vita, per più di 500 anni – per il Buddismo il suicidio è un peccato mortale al pari di quanto viene condannato nel Cristianesimo; inoltre nel Buddismo si crede che un’anima che non sia riuscita ad abbandonare i rimorsi e i desideri terreni, non possa andare a rinascere.

Per questo motivo la frase “KO AVUSIKAM” ha un significato molto più profondo del semplice “chiedo perdono”: con questa frase si richiede un perdono sincero e privo di alcuna malignità, in modo da eliminare la negatività creata ed evitare di generare karma negativo che porti, in una vita futura, a dover incontrare nuovamente le persone a cui si ha fatto del male per “dare loro l’opportunità di pareggiare i conti”, creando un ciclo di odio che non ha fine, almeno fino a quando, come insegna a Buddha, non si ha la forza d’animo e la saggezza necessari per perdonare e lasciare tutto al passato.

Dunque è per questi motivi che Chao Mae Nang Non avrebbe richiesto di incontrare Pra Boubabunjun: per ricevere finalmente, dopo 500 anni, il perdono che aveva tanto desiderato e poter quindi riprendere il ciclo di rinascite.

Si dice che lei abbia visto come un segno il fatto di aver riconosciuto tra tutte l’anima del suo innamorato della vita passata, e di quella dei soldati di suo padre, riuniti ora come allora, proprio lì, dove la storia ebbe inizio.

Sarebbe dunque per questo motivo che i 13 ragazzi all’interno della grotta siano stati ritrovati tutti sani e ancora in forze: Chao Mae Nang Non non voleva far loro del male, ma sperava che il monaco-suo padre, spinto dalla compassione per quelle vite, ed essendo in qualche modo ancora legato a loro (in Thailandia si crede che se ci si è incontrati in una vita precedente e si sono generate buone o cattive azioni nei confronti dell’altro, ci si reincontrerà nuovamente nelle prossime vite) venisse fino a lei e la liberasse da quel posto che la teneva prigioniera da 500 anni.

E chi crede a questa storia, dice che non è un caso che la montagna al cui interno sorge il Tham Luang, abbia la forma di una donna distesa: lo spirito di Chao Mae Nang Nong vi ha vissuto così tanto da influenzarne anche la fisionomia.

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