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Pollenzo: espandiamo il Made in Italy nel mondo!

Photo by kinaddhatyai.com

Una domenica pomeriggio come un’altra, quando ancora abitavo ad Hatyai, mi stavo dirigendo verso casa con mia mamma, quando un’insegna attirò la mia attenzione. Recitava una sola parola: POLLENZO.

Pollenzo
l’ingresso che attirò la mia attenzione

La conversazione che seguì mostrerebbe tutta la mia ignoranza, per cui vi riporto solo che nella mia testolina quella parola, oltre che ad avere un suono buffissimo, mi faceva pensare ad un pollo di nome “Enzo”.

POLLENZO! Mamma, ma come può un thailandese aver pensato ad un nome del genere? E come lo pronuncerebbe poi? Pollenzo… POLLENZO!

*NB. nonostante molti pensino che gli asiatici hanno problemi con la lettera “R”, tanto che solitamente i cinesi sono ricordati in occidente per usare la “L” al posto della “R”, vi posso assicurare che i thailandesi hanno nella loro lingua la lettera “R” che pronunciano tranquillamente, perlomeno quando parlano thailandese, mentre hanno seri problemi con la pronuncia della “Z”!

Comunque sia, questo termine mi ha shockato al punto da portarmi a raccontare questa cosa a diverse amiche, e non posso non ringraziare Maria Chiara, la mia personale wikipedia, oltre ad essere la mia fashion blogger preferita (potete leggere i suoi articoli su Ethical-Code e sul suo nuovo blog the Claire) che, in meno di due minuti mi ha dato una spiegazione accurata di cosa fosse in realtà Pollenzo, trasformando il mio piccolo pollo di nome Enzo in una rinomata località piemontese, sede dell’università di scienze gastronomiche nata per idea di Petrini (che per chi non sa chi sia è il fondatore di Slow Food), un polo che sta aprendo la propria linea di ristoranti, hotel e spa, decisi a espandersi e far conoscere il proprio nome a livello internazionale.

Lo ammetto, dopo aver ascoltato quel messaggio, mi sono sentita molto ignorante. Adesso però almeno ho colmato questa lacuna, anche se ancora mi sfuggiva la connessione tra questo luogo e il ristorante che avevo visto.

Non potevo non indagare, così con mia mamma e una sua amica abbiamo deciso di andare nel ristorante e scoprire la verità su quel nome.

Pollenzo
Photo by Federica Maccari
Pollenzo
Photo by Wongnai.com
Pollenzo
Photo by Wongnai.com

Si entra! Al contrario di quanto ci si aspetterebbe dall’esterno, il posto è davvero molto carino, con carta da parati sui colori del beige con dettagli rosso ciliegia, frutto di mano femminile e dietro al bancone due facce thailandesi sorridenti pronte ad accoglierci.

Niente facce italiane, e nessun dettaglio nell’arredamento che richiami il mio paese, ad eccezione di quel “Buon Appetito” incredibilmente scritto in modo corretto e il logo dell’università di Pollenzo sulla parete di fondo.

Chiedo dunque alla signora che viene a prendere le ordinazioni se sapesse il perché della scelta del nome del locale e lei, che si scopre essere la proprietaria, mi spiega che si tratta del nome della città dove sua figlia ha studiato!

Pollenzo
Io e la mamma della ragazza che ha studiato a Pollenzo sotto il logo del ristorante
Pollenzo
io e Kaew, la ragazza che ha studiato a Pollenzo
Pollenzo
io e Kaew,sotto il diploma che attesta il suo status di ex-studentessa di Pollenzo

Appena finito di preparare i nostri drink, Kaew, la giovane ragazza che ha intrapreso il suo viaggio per conoscere meglio la nostra cucina mediterranea, si siede un attimo con noi, e posso chiederle qualche informazione in più.

Per prima cosa scopro che siamo coetanee e che si è trattenuta in Italia per solo un anno, dunque il corso che ha seguito è un Master in lingua inglese.

Mi ha confidato che non parla l’italiano, ma ha imparato qualche parola quando andava al mercato e che le è capitato spesso di passeggiare per Torino, città che ha affascinato sia lei sia sua madre per la sua arte, pronta a sfoggiare la propria bellezza ad ogni angolo che fosse nelle statue di una chiesa o sotto i portici di via Roma, e persino la meravigliosa aria di multiculturalità che si può respirare a Porta Palazzo (un must per ogni straniero che desideri trovare qualche ingrediente orientale al 100%, anche se devo ammettere che passeggiarvi dieci anni fa era diverso rispetto ad oggi).

Anche Bra l’ha colpita, soprattutto per i suoi orari: mi raccontava che alle nove di sera non c’era più nessuno per le strade e per lei era una novità visto che ad Hatyai la città rimane viva fino alla mezzanotte se non oltre.

Ma torniamo a parlare di cucina: qui si mangia veramente all’italiana?
Kaew mi ha confessato che in effetti ha dovuto cambiare un po’ gli ingredienti originali, sia per evitare di dover alzare troppo i prezzi ma anche perché certe cose qui sono veramente difficili da trovare (un esempio su tutti: le acciughe costano tantissimo e sono difficilissimi da trovare! Al contrario prosciutti e formaggi sono più facilmente rintracciabili, ma spesso si tratta di prodotti tedeschi o francesi più che italiani, e hanno ovviamente prezzi da prodotti importati).

Il vero problema però non sta né negli ingredienti né nei prezzi: si tratta della lingua dei thailandesi. Molti di loro infatti non sono abituati al gusto dei nostri piatti, e tendono a classificare un gusto “strano” e sconosciuto come qualcosa di negativo, cercando di mimetizzarlo con l’aggiunta di salse.

Un esempio è la pizza che per un thailandese non può essere mangiata senza “versarci” sopra una quantità industriale di ketchup o salsa piccante (passatemi il termine, voi non avete idea di quanta salsa facciano andare per mangiare un paio di fette di pizza), e anche la pasta purtroppo qui non viene apprezzata con il sugo, bensì saltata in padella con peperoncini, verdure e gamberetti.

Dunque anche qui hanno dovuto adeguarsi, anche se Kaew è stata coraggiosa e ha deciso di presentare entrambi i menù: dunque qui esiste sia la pasta alla bolognese, come la conosciamo noi, sia quella a cui sono abituati i thailandesi.

Pollenzo
fusilli alla bolognese
Pollenzo
spinaci e formaggio al forno
Pollenzo
pasta al sugo con verdure
Pollenzo
pollo fritto in salsa agrodolce
Pollenzo
gelati all’italiana!

Insomma, alla fine questo locale è stato davvero un’occasione: conoscere qualcuno che conosca la differenza tra sorbetto e gelato, e che sappia anche dove si trova Torino senza dover per forza nominare la Juve (purtroppo qui non conoscono molto bene la geografia della nostra penisola, gli unici con cui poter conversare sono gli uomini che seguono il calcio, oppure i fortunati che abbia già viaggiato in Europa, solitamente in un tour de force di un paio di settimane in cui girano Germania, Austria, Italia e Francia).

È stato bello anche vedere come a questa ragazza il soggiorno nel nostro paese abbia suscitato la voglia di portarsi a casa alcune delle nostre tradizioni e che sia stata ispirata ad aprire una propria attività per portare avanti questa passione.

Ed io ho colmato la mia lacuna sulla vicina località di Pollenzo, anche se a pensarci bene è piuttosto strano che sia stata la mia concittadina villarese, ora in quel di Milano, a spiegarmi al volo cosa fosse Pollenzo e perché fosse famosa, dopo che io, in questa città del sud della Thailandia, mi sono imbattuta in questa insegna assolutamente per caso. Come si dice, non si finisce mai di imparare!

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