MyFedesign Chiacchiere e Tea – un Podcast sulla Thailandia
Oggi vedremo insieme la parola Tambun, legata non solo alla cultura thailandese ma anche alla concezione buddista del “fare buone azioni per costruirsi un buon Karma”.
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Buon ascolto (o buona lettura)!
Benvenuti sul podcast di MyFedesign. Io sono Fede, e sono qui per intrattenervi con qualche chiacchiera mentre sorseggio una buona tazza di tè caldo. Approfittatene per prendervi anche voi una pausa con me, oppure tenetemi come sottofondo mentre fate le faccende domestiche, o vi allenate, o fate qualche altra attività noiosa. In questa serie vi parlerò di alcune frasi e parole thailandesi particolari, perché non hanno una traduzione immediata, oppure perché non hanno un corrispettivo italiano. Se volete saperne di più sulla cultura thailandese, potete trovare altri post interessanti sul blog myfedesign.com.
Ma basta perderci in chiacchiere, passiamo subito all’argomento di oggi.
Oggi vedremo la parola che mi ha fatto venir l’idea per questo podcast: Tambun è un termine che può venir associato al concetto di “fare buone azioni”, che nasce nel contesto della religione buddista.
Per la chiacchierata di oggi, ho davanti a me una bella tazza fumante di tè deteinato, ideale da sorseggiare la sera dopo cena senza rischiare di non riuscire ad addormentarsi.
Questo tè infatti è stato lavorato in modo da ridurre drasticamente teina e teofillina, ovvero le sostanze stimolanti con un effetto simile alla caffeina presenti nel tè. Il tè deteinato è adatto anche per chi ha problemi cardiovascolari o soffre d’ansia.
Solitamente quando si parla di tè deteinati si pensa subito al tè verde, ma quello che ho preparato io è un tè nero aromatizzato al bergamotto, leggero ed equilibrato, il cui nome è “Evening Tea”.
Sebbene io stessa consideri “Tambun” (ทำบุญ) una parola unica, credo che in realtà sarebbe più corretto considerarlo come una frase formata dal termine “Tam” (ทำ), che può essere tradotto con il verbo italiano “fare” e il termine “Bun” (บุญ).
Ed è proprio la parola “Bun” a darmi filo da torcere per dargli un senso in italiano. Secondo il traduttore di Google infatti questa corta parolina può essere tradotta come sostantivo “merito” oppure come aggettivo “buono”.
Ma il termine “merito”, secondo il dizionario Treccani, significa “il fatto di meritare, di essere degno di lode, di premio o anche di un castigo” e può essere usato come sinonimo di “compenso, ricompensa”. E il significato thailandese non è esattamente questo.
Forse è per questo motivo che preferisco pensare a “Tambun” come ad una parola unica: trovo che il concetto di “fare delle buone azioni”, nell’accezione religiosa del termine, ovvero “fare delle buone azioni per entrare in Paradiso” oppure “fare buone azioni per avere un buon Karma”, siano le perifrasi che più si avvicinano al significato reale di questa parola.
Tambun può significare molte cose diverse: preparare la cena per tutti quando gli altri membri della famiglia sono troppo indaffarati per occuparsene, aiutare uno sconosciuto in difficoltà, con lo sguardo spaesato davanti ad una via o in un negozio, offrire un orecchio ad un amico stressato, rimettere in ordine alcuni oggetti caduti dallo scaffale del supermercato anche se non siamo stati noi a farli cadere, fare del volontariato o delle donazioni alle persone in difficoltà o ad associazioni che si occupano di aiutarle.
In Thailandia quando si dice “Pai Tambun Duai Kan”, ovvero “andiamo a fare dei tambun insieme”, (piccola parentesi: forse sarebbe più corretto tradurre “andiamo a fare dei Bun insieme” visto che la parola “Tam” significa “fare”, ma per questa chiacchierata perdonatemi questa imprecisione e permettetemi di usare Tambun come una sola parola).
Dicevo, in Thailandia quando si dice “Pai Tambun Duai Kan”, ovvero “andiamo a fare dei tambun insieme”, nel 99% dei casi si intende andare a fare delle offerte al tempio, solitamente di mattino presto, prima dell’orario lavorativo, aspettando che i monaci tornino al tempio dopo la questua.
Non si tratta solo di offerte economiche, sebbene siano sempre molto gradite per riuscire a coprire le varie spese del tempio, come ad esempio l’elettricità, ma anche offerte di cose materiali, dal cibo che i monaci andranno a consumare, a oggetti per l’igiene personale, come sapone, rasoi, dentifricio, spazzolini, ma anche prodotti come detersivo per i piatti, medicine, cerotti, vestiti, coperte, ombrelli.
Ma non tutti devono per forza andare al tempio per fare offerte ai monaci; i monaci buddisti infatti escono dal tempio per la questua quando il cielo comincia a rischiarare, verso le 5 del mattino o a volte anche prima. Si dice che per capire se è il momento giusto per uscire i monaci si guardino le mani: se riescono a distinguerle al buio, significa che fuori è abbastanza chiaro per cominciare il loro breve pellegrinaggio mattutino.
E durante questa questua, chi desidera, può aspettare davanti casa il passaggio di alcuni di questi monaci, i quali si dividono solitamente in gruppi di due o tre, accompagnati spesso da alcuni laici che li aiutano a tenere alcune delle cose più pesanti, come cartoni del latte o bottiglie d’acqua. Anche queste offerte, che possono essere semplicemente anche solo del riso in bianco già cotto, pronto da mangiare, sono considerate come dei Tambun.
In uno degli uffici in cui ho lavorato, ogni anno facevamo Tambun insieme in una scuola per bambini ciechi e ipovedenti, ordinando da un ristorante un pranzo completo di khao mok gai, ovvero riso speziato e pollo fritto, accompagnato da verdure e, come dolce, un bel ghiacciolo. In quella giornata ci recavamo tutti insieme in quella scuola, e aiutavamo in mensa a distribuire i vari piatti ai bimbi, aiutando poi a sparecchiare quando la pausa pranzo era finita e alunni e maestre tornavano in classe per le lezioni successive.
Insomma, fare Tambun significa fare una buona azione nei confronti di qualcun altro, senza ricercare una ricompensa immediata. È sì vero che sia i bambini sia le maestre di quella scuola ci hanno ringraziato per quel pasto diverso dal solito, e che quando si fa un’offerta al tempio spesso si viene ringraziati dai monaci con una piccola benedizione, cosa che capita quando queste offerte vengono fatte direttamente ai monaci, durante o dopo la questua.
Fare dei Tambun porta con sé un altro significato intrinseco: si cerca di compiere buone azioni per assicurarsi un buon Karma non solo in questa vita, ma anche in quella futura.
Nel libro tibetano dei morti viene narrato come le persone, una volta passate a miglior vita, debbano rispondere delle loro azioni davanti al giudice dei morti. Per ogni defunto compaiono due geni, uno buono e uno cattivo, che hanno accompagnato quella determinata persona durante tutta la sua vita.
Lo spirito buono ha con sé un sacco al cui interno sono contenute delle pietre bianche, che rappresentano le buone azioni compiute in vita dal defunto, mentre lo spirito cattivo ha con sé un sacco con pietre nere, che rappresentano le cattive azioni.
Le pietre possono avere dimensioni e peso differente, a seconda del tipo di azione compiuta e delle sue conseguenze.
Ecco, con questa immagine in mente possiamo pensare ai Bun come ai sassolini bianchi, che uno accumula mano a mano che fa dei Tambun, ovvero compie delle buone azioni.
E il numero di questi sassolini bianchi va ad incidere su ciò che, secondo la religione buddista, sarà la prossima incarnazione. Non solo; fare dei Tambun con qualcuno permette di stabilire un legame con quella persona. Più un legame è forte, più alta sarà la probabilità di poter incontrare nuovamente quella persona nella vita futura, e di poter stare con lei per un periodo più o meno lungo.
Insomma, più si fanno Tambun insieme, e più tempo si potrà passare con quella persona. Per questo motivo può capitare di sentire la frase “probabilmente avevamo solo questi “Bun” da condividere” riferito ad una relazione finita tra due persone perché uno dei due è mancato o perché sono avvenute cause di forza maggiore che hanno impedito ai due di rimanere insieme.
Questo concetto tra l’altro è presente in moltissimi telefilm thailandesi ambientati tra due o più epoche, in cui viene mostrato come le azioni compiute in passato abbiano avuto conseguenze sulle future reincarnazioni.
E sebbene in queste rivisitazioni televisive le storie siano più spesso basate sulle cattive azioni compiute in passato, come ad esempio nel telefilm Nakee, di cui vi ho parlato in un post sul blog, in cui l’odio reciproco tra le due antagoniste della storia si basa su un tradimento avvenuto più di 100 anni prima, è spesso solo grazie al Tambun che si riesce a uscire dal ciclo di dolore che queste cattive azioni alimentano.
In questa vita io faccio un torto a te, e nella prossima tu farai un torto a me, e così via, probabilmente dovremmo continuare a incontrarci nuovamente nelle nostre vite future continuando a farci torti a vicenda.
Ma se io in questa vita riesco a fare abbastanza Tambun, e cerco di avere un comportamento neutrale nei tuoi confronti, ecco, allora forse riuscirò a spezzare questo nostro ciclo. E se lo facciamo entrambi, beh, è molto probabile che magari smetteremmo di creare del karma cattivo nei confronti dell’altro.
Vorrei approfondire questo ultimo concetto parlandovi di alcuni eventi della vita del Buddha Siddharta.
Sebbene fin da bambino Siddharta abbia mostrato un’indola pacifica, anche lui ebbe diverse persone che non lo apprezzavano, primo tra tutti suo cugino e cognato Devadatta.
Se fate una breve ricerca su internet, scoprirete che Devadatta è considerato il più grande nemico del Buddha Siddharta, tanto da aver separato il Sangha, ovvero l’ordine di monaci fondato da Buddha, e aver cercato di uccidere il Buddha per ben 3 volte.
Insomma, Devadatta era invidioso di Siddharta, sin da bambini, e non lo nascondeva affatto. Ricordo perfettamente di un discorso di Buddha, ma in questo momento non riesco a ritrovarlo, per cui ve lo racconterò così come me lo ricordo – sperando di non fare troppa confusione con altri aneddoti.
Ricordo che qualcuno chiese a Buddha perché non rispondesse alle provocazioni di Devadatta, e se non si sentisse arrabbiato per le continue ingiustizie fatte nei suoi confronti. Buddha si limitò a dire che non era arrabbiato, perché era cosciente che quel comportamento nasceva da un desiderio intrinseco sviluppato in diverse vite in cui i due avevano continuato a costruire cattive azioni uno contro l’altro.
Buddha era cosciente di tutte le sue vite precedenti, in tutte le sue forme animali. E sapeva che lui e Devadatta erano stati nemici in tutte le loro vite. Per liberarsi dal ciclo delle rinascite, doveva anche liberarsi dal ciclo del Karma, ovvero dimenticare le azioni passate secondo l’idea per cui “ciò che è stato, è stato”, ed andare avanti. Cosa che Devadatta non riuscì mai a fare, lasciando che fossero il risentimento e l’invidia provata in passato a guidare le sue azioni.
E Buddha infatti non rispose mai alle provocazioni di Devadatta, lasciando che il suo nemico si distruggesse da solo, a causa del suo Karma cattivo. Dopo che due dei discepoli di Buddha raggiungero i 500 monaci del Sangha che avevano seguito Devadatta, insegnando loro il vero significato del Dharma e convincendoli così a tornare da Siddharta, Devadatta si ammalò a causa del suo Karma.
In punto di morte, si pentì del suo comportamento, e desiderò di potersi scusare con Buddha, ma morì prima di poterlo incontrare. Troppe cattive azioni erano state compiute da Devadatta perché il suo desiderio potesse venir realizzato, ma chissà, forse nella sua vita successiva egli avrà espiato a quei peccati facendo Tambun e compiendo buone azioni verso gli altri.
Infine, un piccolo aneddoto.
Lavoravo ad Hatyai, credo fosse il 2015 o il 2016, e un mio giovane collega architetto si presentò in ufficio con una gamba ingessata.
Quando gli chiedemmo cosa fosse successo, ci raccontò che il giorno prima, Domenica, era andato a fare Tambun con i suoi genitori al tempio vicino casa.
Ora, dovete sapere che in Thailandia può capitare spesso di trovare all’interno del tempio varie bancarelle, tra cui alcune che hanno diversi animali vivi, come passerotti o pesci, anguille e tartarughe, che possono essere “comprati” per poi essere liberati. Perché anche liberare un animale in gabbia (o in un acquario) può essere considerato “Tambun”.
Vedendo all’interno del tempio alcune di queste bancarelle, il mio collega decise di comprare dei pesci da liberare nel fiume oltre la strada. Ormai avevano portato le offerte all’interno del tempio, e gli sembrava un’ottima occasione per fare dei Tambun in più.
Ma, proprio mentre attraversava la strada, una macchina l’ha investito. In ospedale, il dottore gli disse che era stato fortunato, perché l’osso si era rotto solo in due punti, e che si sarebbe rimesso in sesto in poche settimane.
Al sentire questa cosa, molte mie colleghe hanno commentato dicendo “Meno male che sei andato a fare Tambun prima! Pensa se non lo avessi fatto, magari adesso saresti ancora ricoverato in ospedale…”
A quella frase, ricordo di essere rimasta un poco spaesata, perché mi sarei aspettata più facilmente un commento del tipo “ecco, fare Tambun non serve a niente, non ho fatto in tempo a uscire dal tempio che sono finito in ospedale”.
Ed invece, mi sono resa conto che, guardandolo da un altro punto di vista, le mie colleghe avevano ragione: poteva andare molto peggio e forse erano stati i “Bun” appena fatti a permettere al nostro amico di cavarsela con solo un’ingessatura.
Insomma, fare Tambun significa anche guardare al lato positivo delle cose e non limitarsi a fare del vittimismo per ogni cosa che capita.
Grazie per essere arrivati fino alla fine di questo episodio del podcast di MyFedesign.
Oggi abbiamo visto insieme la parola Tambun, legata non solo alla cultura thailandese ma anche alla concezione buddista del “fare buone azioni per costruirsi un buon Karma”.
Se vi è piaciuta questa puntata e volete lasciarmi un vostro commento, potete trovare tutti gli episodi sia sul blog myfedesign.com sia nella playlist sul canale YouTube MyFedesign. E mentre sorseggio il mio ultimo sorso di tè, vi auguro buona giornata e spero di rivedervi anche nella prossima puntata.
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