La parola di oggi è Turà ( ธุระ ), che tradurrei come “impegno”, nel senso di “avere un impegno”, “avere delle cose da fare”.
Turà è un termine educato che si usa in senso generico, quando non si ha tempo di dire nello specifico quali impegni si ha oppure non si vuole condividere dettagliatamente i propri impegni.
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MyFedesign Chiacchiere e Tea – un Podcast sulla Thailandia
Benritrovati in un nuovo episodio del podcast sulla Thailandia di MyFedesign. Io sono Fede e sono qui per farvi un po’ di compagnia con questa chiacchiera in cui vedremo insieme alcune parole e frasi thailandesi particolari che ci permetteranno di approfondire la cultura thailandese.
Si tratta di parole che spesso necessitano di una spiegazione aggiuntiva alla semplice traduzione in italiano, perché nascondono un significato strettamente legato agli usi e costumi dei thailandesi.
Io sono qui con la mia immancabile tazza di tè, ma sentitevi liberi di tenermi in sottofondo mentre fate altro; potete ascoltarmi mentre fate una passeggiata o vi allenate, mentre fate la spesa oppure mentre vi occupate delle faccende domestiche.
E dopo questa breve introduzione, direi che è il momento di passare all’argomento di oggi.
La frase di oggi e il tè del giorno:
La parola di oggi è sempre stata molto difficile per me da tradurre, ma credo che il significato più ampio di “Turà” ( ธุระ ) possa essere racchiuso nella parola “impegno”.
Ad accompagnare la nostra chiacchiera, oggi parliamo del tè Ceylon, che prende il suo nome dal termine utilizzato in passato per indicare l’isola dello Sri Lanka.
Il tè Ceylon è infatti coltivato e prodotto in questo stato, diventando nel tempo un simbolo identificativo di questo territorio.
Introdotto per la prima volta nel mercato europeo nel 1867, il tè Ceylon puro si è costruito una sua nicchia di mercato, differenziandosi dagli altri tè per il suo logo, formato da un leone dorato con in mano una spada.
Questo logo infatti viene assegnato solo ai tè Ceylon di qualità, prodotti e confezionati in Sri Lanka, e il cui brand risulta conforme agli standard di qualità dello Sri Lanka Tea Board, ovvero l’autorità pubblica istituita dal governo per promuovere il tè Ceylon.
Possiamo dire che nello Sri Lanka il tè sia davvero molto importante, in quanto rappresenta l’identità culturale della popolazione locale. Non devono quindi stupire i rigorosi controlli riguardo al tè, ed in particolare il divieto di mescolare il tè prodotto sull’isola con quello importato dall’estero, per evitare di alterarne il sapore.
Sebbene la maggior parte del tè Ceylon appartenga alla tipologia di tè nero, in realtà tutti i tipi di tè, se coltivati in Sri Lanka, possono essere definiti come tè Ceylon.
Ecco quindi che è possibile trovare anche tè Oolong, tè bianco e tè verde che riportano questa dicitura sulla confezione.
Più che ad una singola tipologia di tè, possiamo dire che con la dicitura tè Ceylon indichiamo tutti quei tè coltivati, prodotti e confezionati in Sri Lanka. E poiché le varie regioni sono caratterizzate da un’altitudine, un clima e un terreno differente, può essere davvero difficile identificare un solo gusto e un solo aroma per questo tipo di tè.
In linea di massima possiamo distinguere tre categorie:
- i tè coltivati ad un’altitudine inferiore a 2000 piedi (circa 600 metri), che sono caratterizzati da un sapore ricco, con un retrogusto di agrumi e note di cioccolato, miele e caramello
- i tè coltivati tra i 2000 e i 4000 piedi (ovvero tra i 600 e 1200 metri) di altezza, caratterizzati da un sapore corposo e maltato, e il cui gusto può variare a seconda dei venti monsonici che colpiscono le coltivazioni
- ed infine i tè coltivati oltre i 4000 piedi (circa 1200 metri) di altezza, più delicati e leggeri, caratterizzati da un retrogusto floreale.
Turà, una parola dai molteplici significati
Turà ( ธุระ ) è una parola molto corta e molto usata, il cui significato può racchiudere diversi concetti, a seconda dell’argomento di cui si sta parlando.
Cercando sul dizionario, Turà può significare sia “business”, “affari”, sia “doveri”. Ma la maggior parte delle volte in cui l’ho sentito utilizzare nella quotidianità era in una frase tipo “Pai Mai Dai. Tit Turà” (ไปไม่ได้ ติดธุระ), ovvero “non posso, ho un impegno” oppure “non posso, ho delle cose da fare”.
Tit Turà ( ติดธุระ ), Mee Turà ( มีธุระ ), Tam Turà ( ทำธุระ ): non importa che verbo accompagni questo sostantivo, non riuscirete mai a capire che cosa sia questo “Turà” di cui si sta parlando.
Queste tre semplici frasi hanno un significato molto simile: Tit ( ติด ) in thailandese significa “essere bloccato”, per cui Tit Turà ( ติดธุระ ) può essere tradotto con “sono bloccato in un Turà”.
Mee ( มี ) significa “avere”, e quindi Mee Turà ( มีธุระ ) si può tradurre semplicemente con “ho un Turà”.
Infine Tam ( ทำ ) significa “fare”, per cui Tam Turà ( ทำธุระ ) significa “sto facendo un Turà”.
Ma che cos’è nello specifico questo Turà?
Quando usare il termine Turà?
Turà può indicare un appuntamento: ad esempio, una visita medica può essere considerata come “Turà”, così come un appuntamento lavorativo o scolastico.
Anche andare a fare la spesa, andare a spedire un pacco o una lettera, portare la macchina o il motorino dal meccanico per un controllo: tutte queste attività possono essere considerate “Turà”. Così come anche fare sport o partire per un viaggio.
Gli eventi sociali, come matrimoni, funerali, cene di classe, rientrano nel significato del termine “Turà”. Così come anche le funzioni religiose, indipendentemente dalla religione.
Insomma, Mee Turà, ovvero “ho un Turà”, può significare tutto o niente. E, lo ammetto, inizialmente pensavo fosse un modo educato per dire “ho un impegno, a te non deve interessare cosa devo fare, perché non ti riguarda, quindi fatti gli affari tuoi”.
La sensibilità dei thailandesi
Non è la prima volta che me lo sentite dire, ma la Thailandia è un paese che è davvero un ossimoro vivente. Se da una parte la cultura thailandese è vista come molto rispettosa del prossimo, dall’altra parte capita spesso che la sfacciataggine dei thailandesi lasci senza parole.
Ricordo che, durante un viaggio di lavoro con l’ufficio in cui lavoravo, durante il mio primo anno ad Hatyai, ci ritrovammo con altri uffici a visitare delle case tipiche Cino-portoghesi a Phuket, e le ragazze degli altri uffici hanno cominciato a bombardarmi di domande anche abbastanza private, dal classico “Ce l’hai il fidanzato?” a “Quanto prendi di stipendio? Dove vivi? In casa o condominio? È tuo? Quanto paghi di affitto?”.
Gente che avevo visto lì per la prima volta, dopo appena due minuti, durante i quali mi ero già dimenticata i loro nomi, stava a chiedermi cose private, arrivando ad insistere perché volevano delle risposte.
Il vero significato di Turà
Non deve dunque stupire la mia interpretazione del termine “Turà”, come a voler costringere l’altra persona a rispettare la privacy per i propri impegni.
Ad esempio, la frase “domattina ho un Turà” per me sottintendeva anche il significato di “domattina non mi disturbare”.
È però capitato che, magari nello stesso pomeriggio dopo il Turà, quella stessa persona venisse a raccontare senza problemi quali erano gli impegni che l’avevano trattenuta al mattino.
Inizialmente questa cosa mi abbia un po’ lasciato confusa, visto che pensavo che “Turà” fosse usato per far rispettare la propria privacy.
Poi ho pensato che magari fosse anche per scaramanzia, in certi contesti. Poi ho ancora modificato il mio pensiero, arrivando a convincermi che, a volte, il non voler far sapere in anticipo che tipo di Turà si ha, sia banalmente per non disturbare chi sta facendo la domanda.
Se uno è in grado di gestire autonomamente il Turà, non ha bisogno di far sapere agli altri cosa deve fare. Ma, dopo aver fatto il Turà, nulla vieta di condividere con gli altri la natura di quello stesso Turà.
Una risposta veloce adatta per ogni occasione
Immaginiamo di essere fuori casa, e di ricevere una telefonata per cui non possiamo perdere troppo tempo a rispondere. Un semplice “Tit Turà ( ติดธุระ )”, ovvero “sono bloccato in un Turà”, permette di dare una risposta veloce, senza perderci in spiegazioni, e dando un contesto all’altra persona del motivo per cui in quel momento non possiamo parlare con lei.
Adesso credo che non sia solo questione di privacy, ma anche di serenità nel parlare di una certa situazione.
Pensandoci dopo, infatti, l’idea della “privacy” non aveva tanto senso per la mentalità thailandese: se due persone che si conoscono appena sono in grado di chiedersi senza problemi domande inerenti la propria situazione economica, familiare o sentimentale, perché mai dovrebbero porsi dei problemi nel dire quali impegni hanno?
L’idea che quelle fossero domande “maleducate” ce l’avevo io, perché abituata alla cultura italiana, per cui spesso i soldi sono un argomento “tabù”, ma per i thailandesi quelle erano domande assolutamente normali.
Ho impiegato un po’ a cambiare idea su ciò che significava per un thailandese il termine “Turà”, però ammetto che non riesco a scrollarmi di dosso l’idea per cui anche questa parola sottolinei la libertà di scegliere se parlare approfonditamente del Turà in questione o meno, non solo in base alla natura del Turà stesso, ma anche in base al tempo a disposizione per spiegare perché non si è liberi e alla propria serenità mentale del parlare della cosa.
PHASE 3 | finish topic
Pensa prima di parlare…
Un famoso detto attribuito al filosofo cinese Lao Tzu recita:
Fai attenzione ai tuoi pensieri, perché diventano le tue parole.
Lao Tzu
Fai attenzione alle tue parole, perché diventano le tue azioni.
Fai attenzione alle tue azioni, perché diventano le tue abitudini.
Fai attenzione alle tue abitudini, perché diventano il tuo destino.
Ed in effetti, non possiamo sempre prevedere l’impatto che le nostre parole avranno sulle altre persone.
Qui in Thailandia ho sentito spesso la frase “Finché non le pronunci, sei padrone delle tue parole. Ma quando le hai pronunciate, loro diventano padroni di te.”
Una lingua ricca è una lingua che presenta numerosi termini e che dà la possibilità di scegliere se usare una parola specifica o un termine più generico per descrivere (o evitare di parlare) di determinate cose.
Ma, oltre alla lingua, è anche importante valutare come la società interpreta l’uso di quelle stesse parole: personalmente, non mi è mai capitato di dire in italiano “domani non posso, ho un impegno”, perché mi sembrava che, così dicendo, potessi sembrare misteriosa o peggio, che non volessi condividere con l’altra persona il perché non potevo partecipare ad un determinato evento.
Chan Mee Turà ( ฉันมีธุระ ) invece l’ho usato con più leggerezza, consapevole che questa frase non sarebbe stata interpretata in “cattivo modo”.
Forse è solo una mia impressione personale, ma mi sembra davvero che fin dall’infanzia ci sia stato insegnato, spesso anche indirettamente, che non condividere qualcosa sia “sbagliato”: gli amici non hanno segreti, per cui evitare di far sapere all’altro cosa andremo a fare sembra quasi un dispetto nei suoi confronti.
Socrate e i tre filtri
In realtà, forse, dovremmo ripensare più spesso a questo breve racconto attribuito al filosofo greco Socrate, ma che in realtà circolava sui social diversi anni fa, ispirato dal libro “La via del guerriero di pace” dello scrittore Dan Millman, in cui il protagonista incontra un uomo saggio da lui chiamato Socrate, in onore del famoso filosofo greco.
Si dice che Socrate, apprezzato da tutti per la sua saggezza, un giorno incontrò un conoscente che lo fermò dicendogli:
-Socrate! Ho sentito una cosa su un tuo studente, la devi sapere!
Il saggio filosofo lo fermò con un sorriso, rispondendo con queste parole:
-Prima che tu me lo dica, voglio porti tre domande.
L’uomo lo guardò confuso, ma Socrate continuò:
-Prima domanda: sei sicuro che quello che stai per dirmi è vero?
L’uomo ci pensò su, poi rispose:
-A dire il vero no. Me l’ha raccontato un amico che l’ha saputo da…
Socrate lo interruppe, alzando una mano:
-Quindi non sai se quello che hai sentito sia vero o no. Seconda domanda: quello che vuoi dirmi è una cosa buona riguardante il mio studente?
L’uomo scosse la testa:
-Affatto, anzi, è proprio il contrario!
-Quindi mi vuoi raccontare qualcosa di male su di lui senza essere sicuro che sia vero?
L’uomo si bloccò, imbarazzato. Ma Socrate aveva ancora una domanda da porre:
-Terza domanda: ciò che mi vuoi dire sul mio studente mi sarà utile?
Balbettando, l’uomo disse:
-Ecco… non credo…
Socrate sorrise, appoggiando una mano sulla spalla dell’uomo:
-Se ciò che vuoi dirmi non è vero, non è buono e non è utile, allora non c’è bisogno che me lo dici.
Conclusione
Ed eccoci arrivati alla fine di questo episodio del podcast di MyFedesign. Grazie per avermi dedicato un po’ del vostro tempo; spero che la puntata di oggi vi sia piaciuta.
Oggi abbiamo visto insieme la parola Turà ( ธุระ ), che tradurrei come “impegno”, nel senso di “avere un impegno”, “avere delle cose da fare”. Turà è un termine educato che si usa in senso generico, quando non si ha tempo di dire nello specifico quali impegni si ha oppure non si vuole condividere dettagliatamente i propri impegni.
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E mentre sorseggio il mio ultimo sorso di tè, vi auguro buona giornata e spero di rivedervi anche nella prossima puntata.
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