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EP. 14 – Ahosikam

MyFedesign Chiacchiere e Tea – un Podcast sulla Thailandia

Oggi abbiamo visto il termine buddista Ahosikam ( อโหสิกรรม ), che racchiude in sé i significati di perdono e riconciliazione e che comporta un sincero esame di coscienza non solo per costruire rapporti migliori con gli altri, ma anche con noi stessi.

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Buon ascolto (o buona lettura)!


Benvenuti sul podcast sullla Thailandia di MyFedesign. Io sono Fede, e sono qui per farvi un po’ di compagnia mentre sorseggio una buona tazza di tè caldo.

Se volete potete fare pausa con me, oppure potete tenermi in sottofondo mentre fate qualche attività noiosa, come allenarvi, lavare i piatti o pulire la casa.

In questa serie vi parlerò di alcune frasi e parole thailandesi particolari, perché non hanno una traduzione immediata, oppure perché non hanno un corrispettivo italiano, o ancora perché nascondono una curiosità riguardante la cultura thailandese.

Se vi interessano questi argomenti, sappiate che potete trovare altri post interessanti sul blog myfedesign.com, mentre se volete approfondire la lingua thailandese vi consiglio di passare sul nostro canale YouTube.

Ma ora, passiamo subito all’argomento di oggi.

La frase di oggi e il tè del giorno:

Il termine di oggi ci porta ad approfondire meglio la dottrina buddista thailandese, che si rifà agli insegnamenti diretti del Buddha Siddharta.

La parola di cui voglio parlarvi è “Ahosikam”, che porta con sé i concetti di “perdono” e “riconciliazione”, e, allo stesso tempo vuole annullare il karma cattivo creato da una persona.

Ad accompagnare i pensieri profondi di oggi, c’è un tè originario dell’India, il Darjeeling. Questo tè viene coltivato sulle pendici dell’Himalaya, ed è stato portato a Londra per la prima volta nel 1839.

Considerato il più pregiato dei tè neri, tanto da portare l’impero britannico a soprannominarlo “lo Champagne dei tè”, il Darjeeling è un tè chiaro e leggero caratterizzato da un inconfondibile aroma floreale.

Si tratta di un tè ricco di antiossidanti e con un lieve retrogusto di uva moscata, ideale da bere senza aggiungere né zucchero né miele. Il tè Darjeeling ha un sapore leggermente astringente, per cui si sconsiglia di assumerne in grandi quantità.

La storia di questo tè è davvero particolare: le prime coltivazioni in India risalgono al 1841 ad opera del Dottor Campbell, medico chirurgo che fu inviato nell’Indian Medical Service, ma si dice che in realtà i semi siano di origine cinese, e che furono portati in India dal botanico Robert Fortune, mandato in esplorazione in Asia dalla Società Botanica di Edimburgo per studiare le piante presenti in quel continente.

E, tra le sue ricerche, rientrava anche lo studio delle piante di tè, che il botanico provvide a portare in India per creare diverse piantagioni di tè e permettere all’impero britannico di contrastare il monopolio del tè tenuto fino a quel momento dalla Cina.

Definizione Ahosikam

Il termine di oggi è un termine buddista utilizzato solamente in ambito religioso. Però è vero che tutti i thailandesi conoscono il significato di Ahosikam (A-Ho-Si-Kam – อโหสิกรรม), anche chi non è buddista.

Se guardiamo alla definizione di Ahosikam dal dizionario buddista del monaco Pra Prahmagunaphorn (พระ พรหมคุณาภรณ์) vedremo che questo termine è composto dalle parole AHOSI e KAMMA, dove KAMMA è una pronuncia alternativa di ciò che noi occidentali conosciamo come Karma.

Si tratta quindi di un concetto inerente al Karma, ed in particolare alla cancellazione del Karma negativo, nella maniera più semplice che si possa pensare.

Ahosikam significa perdonare e farsi perdonare per ciò che si è fatto di male a qualcuno, sia che lo si sia fatto intenzionalmente sia che lo si sia fatto accidentalmente, sia in questa vita, sia nelle vite passate, per fare in modo di non generare Karma negativo che possa influenzare le vite future.

Richiedere Ahosikam o dare Ahosikam

Ahosikam può essere collegato a due azioni: il chiedere e il dare.

ขออโหสิกรรม (Ko-o Ahosikam) si può tradurre come “chiedere Ahosikam”. Se da una parte significa riconoscere di aver fatto qualcosa di sbagliato e voler chiedere perdono, dall’altra questa richiesta può nascere anche da una situazione apparentemente incomprensibile.

I thailandesi buddisti infatti, se si rendono conto di non riuscire ad andare da nessuna parte con la loro vita, e di trovare continui ostacoli sulla loro strada, potrebbero cominciare a pensare che la loro attuale situazione possa essere colpa del cattivo karma fatto in quella vita o in quelle passate.

Spesso può capitare che, quando si litiga con qualcuno, quella persona ci auguri molte cose brutte (oppure che noi auguriamo a quella persona molte cose brutte); può quindi capitare che queste “maledizioni” rimangano con noi (o con quella persona) e si avverino in parte, portandoci sfortuna o facendoci incontrare un sacco di ostacoli sul nostro cammino.

In questi casi, forse anche per eliminare ogni dubbio, si consiglia sempre di chiedere Ahosikam. E se da una parte c’è una persona che chiede, allora dall’altra ci sarà una persona che dà.

ให้อโหสิกรรม (Hai Ahosikam) si può tradurre come “dare Ahosikam”. Nell’accezione più banale significa semplicemente perdonare qualcuno che ci ha richiesto l’Ahosikam, ma in realtà può essere fatto anche in maniera più generica; la persona che dobbiamo perdonare può non essere lì di fronte a noi, ma noi possiamo dargli Ahosikam semplicemente perdonando le azioni che quella persona ha compiuto nei nostri confronti facendoci soffrire.

Ahosikam può vederci sia nel ruolo di chi dà il perdono, sia nel ruolo opposto, ovvero di chi lo riceve. Ma cos’è questo “perdono” di cui stiamo parlando?

Confronto tra Ahosikam e confessione cristiana

Avrei potuto tradurre Ahosikam come “chiedere scusa”, ma “perdono” mi sembra sia su un livello di scuse più profondo. In realtà il traduttore metteva tra le varie opzioni anche “riconciliazione”, che mi sembra anche molto inerente al concetto buddista che si nasconde dietro questo termine.

Per cercare di spiegare questa idea tramite un paragone con qualcosa di più vicino al nostro immaginario, vorrei prendere in prestito il sacramento cristiano della Penitenza, o Confessione. Così come per i cristiani confessarsi significa riconoscere di aver peccato e voler chiedere perdono a Dio per potersi così riconciliare con Lui, così i buddisti thailandesi chiedono Ahosikam per potersi conciliare con le persone con cui hanno costruito del Karma negativo.

La differenza sta però nella connessione: nel buddismo non si parla ad un’entità superiore, bensì ci si rivolge ad altri esseri umani come noi. Genitori, amici, parenti, insegnanti, colleghi, conoscenti… qualunque persona che abbiamo incrociato nel nostro cammino. E spesso può capitare di non avere buoni rapporti con queste persone; ciò rende l’Ahosikam un gesto ancora più “pesante” da affrontare.

Insomma, almeno nella confessione cristiana abbiamo la consapevolezza di rivolgerci ad un Dio misericordioso in grado di perdonarci; nell’Ahosikam stiamo effettivamente cercando il perdono di una persona che abbiamo fatto soffrire, volontariamente o involontariamente.

La difficoltà di chiedere (e dare) perdono a una persona reale

Pensiamo ad un episodio in cui qualcuno ci abbia fatto stare davvero male o ci abbia fatto soffrire. E immaginiamo che questa persona venga da noi a chiederci scusa. Accetteremmo di perdonarlo o perdonarla facilmente?

E se immaginiamo l’esempio opposto?

Cercate di ricordare una persona con cui vi siete comportati male. E ora immaginate di dover andare da lui o da lei a chiederle scusa per come vi siete comportati. Non è detto che le vostre scuse saranno accettate.

Chiedere Ahosikam a qualcuno è un atto di grande coraggio, perché non sappiamo cosa troveremo come risposta.

Ma c’è una cosa che differenzia di molto la riconciliazione cattolica e quella buddista: se confessando i nostri peccati ci riconciliamo con Dio, e ci mettiamo d’impegno per seguire il suo cammino, in quella buddista riconciliarsi con chi abbiamo creato del cattivo Karma significa semplicemente eliminare quel Karma per evitare di incontrarsi nuovamente nella vita successiva.

Il ciclo delle rinascite

Per capire al meglio questo concetto dobbiamo aprire una parentesi sulla concezione del ciclo di rinascite del buddismo.

Come molti già sapranno, il buddismo crede che quando una vita finisce, quella rappresenta solo la fine di quel corpo, ma non del suo spirito.

In realtà, la reincarnazione è un concetto molto complicato da spiegare, perché si allontana parecchio dalla concezione occidentale del mondo; lo stesso concetto di reincarnazione descritto in molti testi conosciuti in Europa e America vengono additati da molti monaci orientali per essere eccessivamente legati al concetto di “io” e “individualità”.

Voglio solo mettervi una pulce nell’orecchio, perché non approfondirò qui quest’argomento, ma Buddha in realtà insegna la non esistenza di un individuo singolo, e di come invece ci sia un attaccamento morboso da parte degli umani a definire ciò che uno è da ciò che sono gli altri. In parole povere, finché rimaniamo attaccati al concetto di “io” e “mio”, non saremmo mai davvero liberi poiché continueremo a coltivare l’attaccamento a ciò che noi consideriamo essere le nostre cose, il nostro corpo e la nostra anima.

Lo so, è un concetto molto complicato, anche io spesso mi ritrovo a non capire perfettamente questi ragionamenti. Ma credo sia importante provare a tenere in considerazione che, quando parliamo di “anima”, non parliamo di qualcosa di intero, ma come ad un insieme di elementi; se il ciclo delle rinascite è vero, non significa che nelle vite passate ero la stessa persona di adesso, ma che una parte di me ha vissuto un’altra vita, e che in questa vita ho ereditato i risultati delle azioni passate sotto forma di buon Karma e cattivo Karma.

Karma e ciclo delle rinascite

Il Karma si forma sempre quando ci relazioniamo con altri individui, sia che lo facciamo in maniera diretta, ad esempio aiutando una signora in difficoltà al supermercato perché non sta trovando l’ingrediente che cercava, oppure in maniera indiretta, ad esempio nell’esempio di prima facendo finta di niente e cambiando reparto, lasciando la signora ai suoi problemi.

Ci sono azioni che pesano di più e azioni che pesano di meno, come abbiamo visto nella puntata numero 6 del podcast, quando abbiamo parlato di Tambun.

E per ogni azione ci sono delle conseguenze, che possono verificarsi in questa vita, o nella prossima.

O almeno, questa è una delle spiegazioni più facili che viene data dai thailandesi quando si incontra qualcuno che a pelle ci sta antipatico. “Magari nella vita precedente ti ha fatto qualcosa o ti ha fatto soffrire”.

Questo ciclo di odio sembrerebbe infinito: se tu mi fai soffrire, io allora vorrò avere la mia vendetta e vederti soffrire a mia volta, e così via.

Ma è qui che interviene il termine Ahosikam.

Se tu mi fai soffrire, e io accetto ciò che è successo e non ci penso più, e continuo con la mia vita, allora ecco che posso interrompere questo ciclo. E nella prossima vita, se avremmo davvero fatto dell’Ahosikam, non dovremmo più incontrarci né farci soffrire a vicenda.

Ahosikam come azione per farci del bene

Sebbene si parli di Ahosikam come qualcosa da chiedere o da dare ad un’altra persona, in realtà Ahosikam ha un impatto molto più forte su di noi.

Se io sono disposta a lasciar andare il risentimento, l’odio, il desiderio di vendetta e la sofferenza che quella persona mi ha fatto provare, a guadagnarci in primis sono proprio io.

Non si dà Ahosikam a qualcuno per fargli piacere, ma lo si fa per amor proprio, per cercare di superare la sofferenza – che, vorrei ricordare, è proprio il motivo che spinse Buddha a lasciare tutto e approfondire gli studi sulla meditazione e sulla vera natura del mondo.

A tutti sarà capitato almeno una volta di sentirsi traditi o derisi, colpiti da parole, o azioni, che hanno lasciato ferite profonde. Il primo pensiero sarà sicuramente stato quello di volersi vendicare in qualche maniera, ma dall’odio non può nascere nulla di buono.

La metafora del pugno chiuso e della mano aperta

Tra le tante frasi che vengono attribuite a Buddha ce n’è una che mi ha sempre affascinato per la semplicità del suo messaggio: se stringi un pugno chiuso fino a farti male, i palmi potrebbero cominciare a sanguinare a causa delle ferite causate dalle unghie, e le nocche potrebbero diventare bianche perché il nostro gesto ha avuto un impatto sulla nostra circolazione sanguigna.

Ma se noi apriamo la mano e lasciamo andare via quella persona o quell’avvenimento che ci ha fatto star male, allora saremo pronti a ricevere qualcos’altro in cambio, magari qualcosa di buono.

Odiare qualcuno è come stringere quel pugno: non ci porterà nulla di buono. Lasciar andare quel sentimento invece, non può che essere positivo per noi. È molto più facile a dirsi che a farsi, a volte ci vuole molto tempo per curare le ferite che ci sono state inflitte, ma evitare di rimuginarci su e pensare alla vendetta è il primo passo verso la guarigione.

E poi, diciamocelo: già che il nostro tempo a disposizione su questa terra è molto limitato, vogliamo davvero sprecarlo per una persona che ci ha fatto star male?

Se aveste solo più un giorno da vivere su questo pianeta, vorreste davvero spenderlo per fare del male a qualcuno, piuttosto che passarlo con le persone che vi vogliono davvero bene e a cui voi volete bene?

Ahosikam e Tambun

Finora abbiamo parlato di Ahosikam come un qualcosa che avviene tra due persone, una che chiede e una che lo riceve. In realtà, l’Ahosikam dovrebbe essere reciproco: io perdono te, e tu perdoni me, e ognuno continua con la sua vita senza più farci del male sia adesso, sia nelle vite future.

Ma, come abbiamo visto, l’Ahosikam serve in prima persona a noi. Se non ce la sentiamo di vedere l’altra persona, possiamo andare al tempio e fare un’offerta, Tambun, e chiedere Ahosikam sia in maniera generica, sia in maniera più specifica. Un po’ come si potrebbe fare quando si prega: si può pregare per più persone, o per una sola persona specifica.

La cosa importante dell’Ahosikam è farlo davvero: non è sufficiente pronunciare questa parola per essere immediatamente perdonati. Bisogna crederlo e farlo davvero.

Se lo diciamo, ma in fondo al cuore proviamo ancora del risentimento per quella persona, allora non stiamo davvero facendo Ahosikam. Dobbiamo essere sinceri con noi stessi, darci del tempo, magari meditare e leggere qualche testo in più sul buddismo, e riprovare a cercare di lasciare andare persone ed eventi che ormai ci tormentano solo più nella nostra mente.

Lasciarsi il passato alle spalle

Il passato non si può cambiare: accettiamo questa verità e smettiamo di pensare a tutte le realtà alternative che si sarebbero potute creare se ci fossimo comportati in un altro modo o avessimo detto qualcos’altro.

Il passato ormai non coincide più con il momento presente: può aver fatto soffrire il nostro io del passato, ma adesso, in questo preciso momento, non può più farci male. Noi siamo diversi, l’ambiente in cui ci troviamo è diverso, la percezione che abbiamo delle persone coinvolte è differente.

Ovviamente non possiamo impedirci di fare questi pensieri, ma se li riconosciamo, impariamo a prendere le distanze: la meditazione ci aiuta a riconoscere meglio i nostri pensieri e a distinguerli da ciò che noi siamo. Se vediamo che la nostra mente comincia a immaginare queste realtà parallele, facciamo quello che faremmo se fossimo davanti ad un televisore: cambiamo canale. Ripetiamoci “il passato è passato e non può più farmi del male”. Impariamo da ciò che è stato, e andiamo avanti.

Se facciamo questo esercizio spesso, potremmo ritrovarci al punto di essere pronti a fare Ahosikam per davvero, convinti sia nel cuore sia nella mente.

Ahosikam: un termine che non viene detto con leggerezza

Come vi ho detto all’inizio della puntata, Ahosikam viene utilizzato in un contesto religioso. Si tratta di una parola che non viene mai detta con leggerezza, e che nasconde in sé sia il senso di umiltà nel riconoscere i propri errori, sia la volontà di voler ricominciare e lasciarsi tutto alle spalle.

Durante la cerimonia di ordinazione dei monaci, i futuri monaci chiedono e danno Ahosikam ai parenti e amici che si sono riuniti con loro, in modo da poter fare “tabula rasa” e poter così cominciare una nuova vita senza Karma negativo legato ad azioni del passato che possa influenzare le loro decisioni future. Ciò che accadrà, succederà in base a ciò che i monaci faranno una volta indossate le vesti del tempio.

Ma non è necessario diventare monaci per fare Ahosikam; a volte nella vita si arriva ad un punto in cui si sente il desiderio di voler ricominciare da zero. E il decidere di voler chiedere scusa a qualcuno che si è davvero ferito può essere il primo atto di coraggio della nostra nuova vita.

Ma chiedere Ahosikam a qualcuno, significa anche il dover accettare che l’altra persona non ci voglia parlare, o non ci voglia dare l’Ahosikam desiderato. Magari l’altra persona ha sofferto talmente tanto a causa nostra che non è pronta a fare questo gesto. In questo caso, non lasciamoci prendere dal risentimento, ma accettiamo che quello non è altro che la conseguenza delle nostre azioni.

Non si può pretendere il perdono

Non possiamo obbligare qualcuno a darci Ahosikam se non se la sente, né dobbiamo sentirci obbligati a perdonare qualcuno che ce lo chiede. L’unica cosa che possiamo fare è continuare sulla nostra nuova strada: se abbiamo davvero fatto Ahosikam con qualcuno, anche se quella persona non ha restituito il gesto, dobbiamo ricordare che quel gesto lo stiamo facendo per noi, per non rimanere attaccati all’inutile ciclo di odio che ci ha legati.

Buddha probabilmente direbbe che si dovrebbe provare pietà di quella persona, nel senso di compatire, nel senso di patire con, perché ancora non è riuscita a superare quella sofferenza, ma il nostro compito è finito. Non cerchiamo Ahosikam solo per “pulirci la coscienza”; non è la risposta dell’altra parte a permetterci di andare avanti, ma siamo noi a permetterci di lasciare il passato nel passato, e di vivere il presente.

Qualcuno potrebbe chiedersi: ma allora a cosa serve chiedere Ahosikam se non serve che l’altra persona ci perdoni? Beh, gli esseri umani sono imprevedibili: alcuni potrebbero non accettare l’Ahosikam richiesto, ma potrebbero cominciare a ragionare sul fatto di essere rimasti eccessivamente attaccati a ciò che è successo in passato, generando odio e risentimento e costringendoli sul sentiero della sofferenza.

E poi, sapere che una persona che ti ha fatto del male non lo farà più potrebbe essere un gran sollievo, no?

La storia del giorno

Per la storia che accompagna la parte finale dei nostri podcast, avevo pensato alla parabola del figliol prodigo, perché parla di perdono da parte del padre nei confronti del figlio tornato a casa dopo aver sperperato la sua parte di eredità e di incapacità di perdonare e del risentimento del fratello nel vedere il figlio minore tornare a casa festeggiato e riverito come se fosse un eroe.

Si tratta di una parabola che ho sentito un sacco di volte nella mia Villar Perosa, perché don Franco ce la raccontava prima di ogni confessione. L’ho sentita sia da bambina, sia da catechista, e credo anche di averla citata un paio di volte ad alcune classi dei bimbi dell’oratorio.

Ma sarebbe una scelta davvero poco thailandese. Quindi oggi voglio usare una storia differente, presa dal telefilm thailandese Sin Lai Hong ( ซิ่นลายหงส์ ) che ho visto qualche anno fa e che mi aveva molto colpito per la sua trama, che si scostava molto da quella degli altri telefilm.

Il telefilm Sin Lai Hong

La storia è ambientata nell’Isaan (il che significa che quasi tutti i dialoghi sono in dialetto), e sono presenti due archi temporali: uno ambientata nel passato, e uno nel presente. Per comodità ci riferiremo alle protagoniste usando solo i nomi presenti, che sono più facili da ricordare.

Partiamo dai primi 5 minuti del primo episodio: qui vediamo la Mae Sahang del passato pronta per venir decapitata. La storia non ci dice subito chi sia, ma se non ricordo male doveva essere una delle figlie del governatore di quelle terre. Di fronte a lei stanno suo padre, il suo promesso fidanzato, la sua sorellastra Mae Sahat e la madre di lei.

Il padre le permette di dire le sue ultime parole prima di venire giustiziata, sperando che la figlia chieda il suo perdono in modo da poterla liberare, ma Mae Sahang lancia una maledizione sui suoi carnefici: nelle loro vite future augura al padre di morire di dolore a causa sua, augura alla matrigna di doversi occupare di lei e di morire per mano sua, augura alla sorellastra di subire ciò che ha dovuto subire lei in questa vita, e vedersi sottrarre da Mae Sahang tutte le cose che ama in tutte le loro vite future, e infine augura al suo promesso fidanzato di continuare ad amarla in futuro di un amore non corrisposto, per cui dovrà soffrire in ogni singola vita.

Non viene spiegato immediatamente cosa abbia fatto Mae Sahang per venir giustiziata, ma la matrigna dice all’esecutore di porre un contenitore dove far colare il sangue della figliastra, in modo da poter poi intingere il patung in quel sangue. Il patung in questione è di color rosso, e presenta delle decorazioni a forma di un cigno dorato ( anche se, personalmente, più che un cigno a me sembrava una fenice ).

Il Patung della storia

È proprio questo patung la causa della morte di Mae Sahang per mano di Mae Sahat, gelosa della sorella, che è riuscita a renderla colpevole agli occhi del padre e causarne così la decisione di farla decapitare.

A questa scena manca la sorella più piccola, Mae Sahon, unica persona a non aver tradito Mae Sahang, che arriva in tempo per vedere la spada tagliare il collo della sorella e svenire per il dolore, mentre il resto dei familiari guarda compiaciuta lo spettacolo.

Il patung incriminato ricomparirà nel presente, insieme a tutti questi personaggi.

E ciò che rende interessante la storia è il contrasto tra i personaggi del passato e quelli del presente: se nel passato proviamo pietà per Mae Sahang, buona e gentile, che deve subire i sopprusi e la gelosia di Mae Sahat, nel presente vorremmo prendere a schiaffi Mae Sahang per essere così cattiva con sua sorella Mae Sahat, che in questa vita subisce ogni tipo di ingiustizia.

E se da una parte, man mano che si vede l’ingiustizia causata da Mae Sahat, che tra le altre cose in passato ha anche fatto torturare sua sorella in prigione, e si capisce da dove nasce la cattiveria di Mae Sahang, dall’altra si vede come questo odio e questo rancore che sono rimaste nell’animo di Mae Sahang fin dalla vita precedente le stanno distruggendo questa vita presente.

Il percorso di Mae Sahang

Mae Sahang non ha più altro scopo se non quello di far soffrire sua sorella e quella che in questa vita è sua madre, ovvero la matrigna del passato (piccola parentesi: Mae Sahang non è stata cresciuta dalla madre, ma da una nutrice che altri non era che la sua madre naturale nel passato, e che anche in questa vita la ama e cerca di proteggerla).

Mae Sahang vive per la vendetta, e non ha un futuro per se stessa. L’odio l’ha praticamente annullata. E, dall’altra parte, Mae Sahat, quando riesce a ricordare la sua vita passata, finisce a piangere e rabbrividire nel pensare al tipo di persona che era stata in precedenza, riuscendo finalmente a dare un senso all’odio provato in questa vita dalla sorella.

E il percorso di Mae Sahat

L’unica soluzione per Mae Sahat per liberarsi dal suo karma cattivo, sarà quello di diventare monaco: il suo scopo nella vita sarà quello di compiere buone azioni, Tambun, e seguire gli insegnamenti di Buddha, nella speranza di poter così bilanciare il karma negativo compiuto in precedenza. Mae Sahat dovrà fare Ahosikam non solo nei confronti di Mae Sahang, che però non le darà il suo perdono, ma soprattutto nei confronti della se stessa del passato, accettando le azioni violente che ha compiuto, per cercare di costruire un futuro nuovo e più luminoso.

È un percorso molto difficile, perché la Mae Sahat di adesso è davvero buona e gentile, e all’inizio non riesce a capacitarsi di essere stata capace di compiere tanta violenza senza un motivo valido. Ciò che spinse la Mae Sahat del passato a far uccidere la sorella era stata la gelosia per il patung che Mae Sahang aveva realizzato con tanta cura: Mae Sahat lo voleva tutto per sé, e per questo fece uccidere la sorella.

Mae Sahang che indossa il famoso patung

Ma se da una parte abbiamo il percorso di espiazione di Mae Sahat, da cattiva nel passato, a buona nel presente, che finisce con la decisione di farsi monaco in modo da espiare il proprio cattivo karma per ricominciare una vita di virtù, dall’altra parte abbiamo vediamo la caduta di Mae Sahang.

Mae Sahang, nonostante abbia raggiunto la sua vendetta, non vuole fermarsi: da personaggio buono del passato, che ha subito ingiustizie e si è vista portare via tutto, da ciò che aveva cucito con tanto amore, agli affetti fino alla vita, vediamo ora un personaggio senza scrupoli, il cui unico obiettivo è quello di far soffrire chi le sta intorno.

Da persona con tanti Bun, ovvero azioni positive, Mae Sahang compie in questa vita presente tante azioni negative da annullare ogni merito che aveva accumulato in precedenza; il suo percorso finisce con Mae Sahang impazzita durante un incendio, in cui è riuscita però a salvare l’unica cosa a cui teneva: il patung con la fenice che l’aveva portata alla morte già nella vita precedente.

Un patung maledetto? O un eccessivo attaccamento ad esso?

Un patung che si potrebbe quasi dire maledetto, ma non è così: Mae Sahang impazzisce, non riconosce più nessuno, e le importa solo più del patung, ormai sgualcito e in parte bruciato. Mae Sahang è così attaccata a quell’oggetto da perdere se stessa. Lo stesso telefilm ci conferma questa idea: una voce narrante guarda la povera Mae Sahang impazzita, che si rotola per terra nel suo patung, ribadendo il fatto che lei una volta era buona, ma l’odio e la vendetta l’hanno consumata al punto che ora non le è rimasto più niente, nemmeno la lucidità.

E tra questi due estremi, c’è la piccola Mae Sahon. La più giovane delle tre sorelle, è sempre stata, sia nel passato, sia nel presente, un personaggio positivo, che ha cercato di essere amica con entrambe, e che non ha mai abbandonato né l’una né l’altra. Inizialmente personaggio molto infantile, si ritrova ad essere il pilastro di casa dopo la morte dei genitori, la decisione di farsi monaco della sorella Mae Sahat, che andrà a trovare spesso al tempio, e della pazzia di Mae Sahang, di cui si occuperà fino alla morte.

Perdonare chi ci fa del male non è facile, ma sicuramente è più utile per la nostra salute mentale. E visto che la vita che abbiamo a disposizione è breve, tanto vale usare il tempo che abbiamo per prenderci cura di noi e delle persone a cui vogliamo bene, piuttosto che fare del male agli altri e, inconsapevolmente, anche a noi stessi.

Conclusione

Grazie per essere arrivati fino alla fine di questo episodio del podcast di MyFedesign.

Oggi abbiamo visto il termine buddista Ahosikam, che racchiude in sé i significati di perdono e riconciliazione e che comporta un sincero esame di coscienza non solo per costruire rapporti migliori con gli altri, ma anche con noi stessi.

Se vi è piaciuta questa puntata e volete lasciarmi un vostro commento, potete trovare tutti gli episodi sia sul blog myfedesign.com sia nella playlist sul canale YouTube MyFedesign.

E mentre sorseggio il mio ultimo sorso di tè, vi auguro buona giornata e spero di rivedervi anche nella prossima puntata.

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