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Podcast sulla Thailandia, Ep.26 – Fuek – ฝึก

ragazza con tazza di tè in mano e titolo del podcast

MyFedesign Chiacchiere e Tea – un Podcast sulla Thailandia

Nella puntata del podcast sulla Thailandia di oggi vedremo insieme il termine Fuek ( ฝึก ), che si può tradurre come “esercitarsi”, “fare pratica”, e ci ricorda che non è mai troppo tardi per imparare qualcosa di nuovo, anche se c’è il rischio di fare qualche errore.

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Buon ascolto (o buona lettura)!


Benritrovati in un nuovo episodio del podcast sulla Thailandia di MyFedesign. Io sono Fede e sono qui per farvi un po’ di compagnia con questa chiacchiera in cui vedremo insieme alcune parole e frasi thailandesi particolari che ci permetteranno di approfondire la cultura thailandese.

Si tratta di parole che spesso necessitano di una spiegazione aggiuntiva alla semplice traduzione in italiano, perché nascondono un significato strettamente legato agli usi e costumi dei thailandesi.

Io sono qui con la mia immancabile tazza di tè, ma sentitevi liberi di tenermi in sottofondo mentre fate altro; potete ascoltarmi mentre fate una passeggiata o vi allenate, mentre fate la spesa oppure mentre vi occupate delle faccende domestiche.

E dopo questa breve introduzione, direi che è il momento di passare all’argomento di oggi.

La frase di oggi e il tè del giorno:

Oggi voglio parlare con voi del termine “Fuek” ( ฝึก ), che significa “esercitarsi”, “fare pratica”. Ma prima di andare a vedere nel dettaglio il significato attribuito a questa parola, anche oggi voglio parlarvi di tè.

Siamo arrivati ormai alla 26esima puntata del podcast, e le varietà di tè da approfondire cominciano a scarseggiare – non perché non ce ne siano più, ma semplicemente perché alcuni tè non hanno chissà quale curiosità interessante da raccontare.

Ed è così che ho cominciato a pensare di fare qualche approfondimento riguardanti tisane ed infusi thailandesi, quando mi sono detta: nel podcast non abbiamo mai visto le differenze tra queste bevande.

E quindi, eccoci qui: oggi vedremo la differenza tra tè, tisane, infusi e decotti.

Tante parole differenti per distinguere delle bevande che, agli occhi di molti, sono uguali. In effetti, tutte e quattro queste tipologie si preparano con erbe, foglie, frutti, fiori, spezie e altre parti vegetali, come cortecce, radici, bacche, semi…

Eppure delle differenze ci sono, e conoscerle potrebbe aiutarci ad apprezzare meglio queste bevande, oltre che a capire meglio il perché della differenza di gusti e aromi.

Ma non preoccupatevi se non riuscirete ad usare correttamente questi termini, preferendo chiamare tutto genericamente “tè”. Vi capisco, e anzi, spesso mi ritrovo a farlo anche io, così come continuo a chiamare “marmellata” quella ai frutti di bosco, nonostante sarebbe più corretto chiamarla “confettura”.

Il , come abbiamo visto nelle scorse puntate, si ricava dalle foglie delle piante della famiglia Camellia, e si distingue in diverse tipologie, come ad esempio: tè verde, tè nero e tè bianco. Le foglie di tè vengono poi trattate in modi differenti, a seconda della tipologia di tè, ma alcune fasi comune del processo di lavorazione sono: lavaggio, essiccazione e ossidazione. Alle foglie di tè si possono aggiungere spezie, fiori e frutta per dare un sapore unico al tè.

A seconda della tipologia di tè, è necessario un tempo di infusione differente, da un minimo di 3 minuti per i tè verdi fino a 4 o 5 minuti per i tè neri (in caso di dubbio, consiglio sempre di verificare i tempi di infusione sulle confezioni di tè).

Tisane

Le tisane invece sono preparati in acqua calda di diverse erbe, spezie, frutti, fiori e foglie. Per preparare una tisana è necessario avere dell’acqua calda, e poi mettere in infusione gli ingredienti per 10 minuti. Gli ingredienti possono essere messi in un apposito sacchetto di cotone, utilizzato solitamente per il tè, oppure in un infusore.

Possiamo quindi dire che la differenza tra tè e tisana sta nell’assenza delle foglie della pianta della Camellia.

Gli ingredienti delle tisane possono essere usati anche per realizzare infusi e decotti; la differenza tra queste tre tipologie infatti non è tanto negli ingredienti utilizzati, bensì nella preparazione della bevanda.

Infusi

Per preparare un infuso, è necessario versare l’acqua calda sugli ingredienti, e lasciare poi il tutto in infusione per 10-15 minuti. Di solito, gli infusi lasciano gli ingredienti liberi in acqua, e sarà quindi necessario un colino o un filtro per separarli dalla bevanda al momento in cui verrà servita.

Decotti

Se invece si mettono gli ingredienti a bollire insieme all’acqua, si parlerà di decotto; per prepararne uno quindi si deve far bollire le erbe, fiori, foglie, cortecce, bacche o semi insieme all’acqua per 15-20 minuti. Anche in questo caso, prima di servire sarà necessario filtrare l’acqua dagli ingredienti.

Sebbene sia possibile usare gli stessi ingredienti per tutte e tre queste bevande, di solito si preferisce realizzare decotti con ingredienti duri, come cortecce, radici e semi, mentre gli infusi e le tisane vengono preparati con parti vegetali più morbide, come foglie e fiori.

Fuek: un verbo molto usato

Il termine di oggi è “Fuek” ( ฝึก ), che significa “fare pratica”, “esercitarsi”. A prima vista, potrebbe sembrare una parola molto comune, ma è il suo utilizzo che mi ha stupito.

Quante volte in italiano vi è capitato di usare effettivamente il verbo “esercitarsi”?

O quante volte avete detto a qualcuno che stavate facendo pratica con qualcosa?

Personalmente, anche quando mi metto a disegnare dico semplicemente “ora disegno”, non “ora mi esercito nel disegno”. Stessa cosa quando prendo i colori Gouache o decido di provare una nuova tecnica di colorazione.

Invece, in thailandese è normale usare il verbo Fuek.

  • Fuek Waad Ruup ( ฝึกวาดรูป ), mi esercito nel disegno.
  • Fuek Rabai See ( ฝึกระบายสี ), mi esercito nel colorare.
  • Fuek Len Ki-taa ( ฝึกเล่นกีตาร์ ), mi esercito a suonare la chitarra.
  • Fuek Pasa Ang-lit ( ฝึกภาษาอังกฤษ ), mi esercito con l’inglese.
  • Fuek Pasa Thai ( ฝึกภาษาไทย ), mi esercito con il thailandese.
  • Fuek Samathi ( ฝึกสมาธิ ), mi esercito nella meditazione.

Diventare apprendisti oggi per diventare maestri domani

Il termine Fuek compare anche nella parola “Fuek Ngan” ( ฝึกงาน), dove “Ngan” ( งาน ) significa “lavoro”. Fuek Ngan è quindi il tirocinio, stage, apprendistato o praticantato, scegliete voi il termine italiano che preferite.

Questo termine risulta molto chiaro anche alle orecchie di chi non è thailandese: “Dek Fuek Ngan” ( เด็กฝึกงาน ), ovvero il tirocinante o lo stagista, è chi sta imparando il mestiere da qualcun altro. Non è ancora in grado di essere indipendente, ma sta cercando di imparare.

(Piccola parentesi: il termine singolo Dek ( เด็ก ) significa “bambino”, ma in questo contesto anche chi ha 25 o più anni viene definito “Dek Fuek Ngan”. Questo perché l’uso del termine “Dek” serve a sottolineare maggiormente la mancanza di esperienza in quell’ambito di quella persona).

Forse è solo una mia impressione, ma il fatto che in thailandese si ripeta spesso il termine “Fuek”, mi dà diverse sensazioni: da una parte, chi sta facendo pratica ricorda a se stesso che sta affrontando una nuova sfida, per padroneggiare una capacità che al momento non si possiede. In questo senso, Fuek implica un continuo senso di umiltà, per ricordarci che non siamo ancora arrivati ad un livello che possiamo considerare “professionale”.

Dall’altro, Fuek significa che non si può che migliorare: poco importa che ciò che hai fatto oggi non ti soddisfa, domani farai sicuramente di meglio.

In fondo è proprio la pratica che aiuta a migliorare. Provate a porre questa domanda a chiunque, in qualsiasi campo lavorativo o artistico: “come faccio a diventare bravo a…?” finite voi la frase.

La risposta è sempre una: “esercitati. Fai pratica”.

Vuoi diventare bravo nel disegno? Disegna ogni giorno.

Vuoi diventare uno scrittore? Fai in modo di trovare il tempo per scrivere più spesso.

Vuoi imparare a cucinare? Oltre che a leggere ricette online e consultare libri di cucina, mettiti ai fornelli. E prova a realizzare qualcosa.

Sbaglierai, inevitabilmente. Farai errori stupidi, oppure ti capiterà di non sapere come fare. Non importa, continua a provare. Non darti per vinto. “Su Su” ( สู้ๆ ).

Pratica e teoria

Il concetto di Fuek, fare pratica, è strettamente legato all’idea di imparare. Ma non si tratta solo di capire come funzionano le cose in teoria, bensì di applicarle e riuscire effettivamente a renderle realtà.

Ricordo che quando ho iniziato lo IED (Istituto Europeo di Design), i nostri professori ci dissero che

per la teoria ci sono i libri, quelli li potete leggere per conto vostro. Qui si fa pratica, e vedrete che imparerete molto di più cercando di risolvere i problemi mano a mano che li trovate, invece di imparare a memoria le nozioni di vari libri spendendo settimane e mesi a leggere tutto”.

Una delle cose che ho amato del corso IED di interior design che ho frequentato è stata infatti la quasi totalità di corsi pratici: dedicarsi ad un progetto ti permetteva di vedere più facilmente i risultati, rispetto a spendere le giornate a leggere tomi di architettura e design. E quando ti veniva un dubbio, potevi sempre consultare la professoressa o il professore di turno per farti insegnare cose teoriche, ad esempio tutte quelle misure ergonomiche che rendono gli interni più funzionali e progettati a misura d’uomo.

E persino ora, dopo 12 anni dall’ultima volta in cui ho passeggiato per quei corridoi, quando penso ad alcune di quelle regole di design e progettazione, mi tornano in mente ricordi legati a specifici progetti su cui ho lavorato in quegli anni.

Sbagliando si impara

Uno dei problemi che molti si pongono, quando decidono di “buttarsi in qualcosa di nuovo”, è il non sentirsi abbastanza preparati per provare.

E così molte persone decidono di avvicinarsi prima alla teoria, sperando che, il conoscere qualche nozione in più, possa dar loro abbastanza sicurezza per poter passare alla pratica facendo meno errori possibili.

Beh, brutte notizie: non è così. Non si sarà mai abbastanza preparati per fare qualcosa. Nemmeno leggendo una ventina di libri sull’argomento.

Questo perché sapere una cosa non significa saperla fare.

Nei miei primi anni da interior designer mi è capitato spesso di pensare “vorrei realizzare questo mobile così, so che è possibile farlo, ma non so come farlo”. E, sebbene provassi a chiedere aiuto agli altri architetti dell’ufficio per avere consigli su come realizzare quella struttura, alla fine ho trovato più risposte parlando direttamente con i falegnami.

Ricordo che da allora ho sempre preferito consultarmi con chi aveva anni di pratica alle spalle, rispetto a chi poteva recitarmi a memoria i testi su cui aveva studiato all’università; perché troppo spesso la teoria non mi dava abbastanza informazioni per rendere realtà le mie idee.

La cosa migliore, ovviamente, sarebbe riuscire ad avere un po’ dell’una e un po’ dell’altra: studiare un po’ di teoria non fa mai male, purché non diventi un’ossessione che ci impedisca di metterci all’opera e di realizzare qualcosa.

“Fatto” è meglio che “perfetto”

C’è una frase inglese che è perfetta per riassumere questo pensiero: “Done is better than perfect”, ovvero “fatto è meglio che perfetto”.

A volte si ha talmente tanta paura di sbagliare, che si preferisce aspettare per “il momento giusto” per fare qualcosa.

Si fanno ricerche, si leggono libri, si ascoltano persone che lavorano nel campo… ma non si comincia mai a fare niente, perché si teme che i nostri risultati non saranno mai perfetti.

Eppure è abbastanza irrealistico pensare che il nostro primo tentativo sarà perfetto, no?

Quello che personalmente mi aiuta ad allontanarmi dalla tentazione di ricercare la perfezione, è questo pensiero:

“questo è il miglior risultato che posso ottenere con le mie conoscenze attuali e per le forze che ho impiegato per realizzarlo”.

So già che il prossimo progetto che farò sarà meglio di quello su cui sto lavorando, però, paradossalmente, senza questo progetto non potrò sviluppare le conoscenze che mi permetteranno di rendere il prossimo progetto migliore del precedente.

Ho bisogno di esperienza, e per farlo devo accettare di non poter fare un qualcosa di perfetto. Anche perché, se riuscissi a realizzare il “progetto perfetto”, poi significherebbe che non avrei più modi di migliorarmi: il che renderebbe un po’ noioso il futuro, non vi pare?

C’è sempre tempo per imparare

Fuek in thailandese è un verbo che può essere usato da tutti, indipendentemente dall’età: non è mai troppo tardi per imparare qualcosa di nuovo.

Sebbene sia un termine legato al concetto di “studiare”, non è da utilizzare solo in ambito scolastico, anzi, Fuek è adatto per ogni tipo di attività, sia esso uno sport, un hobby o altro.

Ed è anche usato come risposta quando qualcuno ci riprende perché non siamo abbastanza bravi: Kam Lang Fuek Yuu ( กำลังฝึกอยู่ ), cioè “mi sto esercitando” non è solo una scusa, ma anche una dichiarazione nel voler migliorare.

Un altro verbo che si usa spesso con Fuek è “Chai” ( ใช้ ), ovvero “usare”: ad esempio, Fuek Chai Meu Teu ( ฝึกใช้มือถือ ), ovvero mi sto esercitando a usare il cellulare, è una frase che mi è capitato di sentire spesso da persone poco tecnologiche, che però ci tenevano a imparare a fare videochiamate per parlare con i figli e i nipoti.

Imparare… a sbagliare

Per la storia di oggi non scomoderemo il piccolo Corradino, bensì faremo la conoscenza di un nuovo personaggio, che ci aiuterà a capire l’importanza dello sbagliare.

C’era una volta una bambina, il cui nome era Flavia. La piccola era molto brava a scuola, anzi, si potrebbe dire che era brava in tutto, tanto che a casa la chiamavano spesso “bimba prodigio”.

Qualunque cosa facesse, riusciva sempre a dare il meglio di sé e ottenere ottimi risultati: tutti le facevano i complimenti, sia le maestre a scuola, sia l’insegnante di danza e l’allenatore di pallavolo.

Flavia era così contenta di essere sempre brava in tutto, che si era ormai abituata ad ottenere risultati sempre perfetti. E vedendo che tutti gli adulti le facevano sempre i complimenti, si impegnava sempre al massimo per essere sempre la prima in ogni cosa.

Solo la nonna sembrava preoccupata della situazione: aveva paura che con il passare degli anni la necessità di essere sempre perfetta in ogni situazione avrebbe stressato molto la nipotina, e avrebbe anche potuto influire negativamente sul suo carattere, rendendola arrogante.

Così, una Domenica in cui erano insieme, la nonna le chiese se le andava di aiutarla a fare una torta per la merenda.

– Certo nonna, lascia fare a me! Tu vai pure a riposarti, posso fare io la torta!

– Oh, e da chi avresti imparato a cucinare tesoro?

Da nessuno – rispose fieramente Flavia – ma sono convinta che verrà una torta buonissima! Ogni cosa che faccio viene sempre perfetta!

La nonna sollevò un sopracciglio, ma non disse nulla. Andò alla dispensa, prese un vecchio quaderno, e lo aprì, porgendolo alla nipotina.

Ecco qui la ricetta della nonna – disse, guardando Flavia che si era già infilata il grembiule – sicura che non vuoi che ti dò una mano?

La bambina scosse la testa, dicendo alla nonna che ce l’avrebbe fatta senza problemi.

– Ormai ho 9 anni, sono grande abbastanza per fare la torta da me! Se ho problemi ti chiamo! – disse per rassicurarla, ma sicura di non aver bisogno dell’aiuto di nessuno.

La nonna allora uscì dalla cucina, e la lasciò al lavoro.

Era passata meno di un’ora quando la nonna si sentì chiamare dalla cucina: “Vieni nonna, ho finito!”

Flavia era davanti al tavolo con le mani sui fianchi, fiera di sé per essere riuscita a cucinare la torta da sola.

La nonna diede una veloce occhiata agli ingredienti rimasti sul tavolo, e poi guardò la torta.

– Visto nonna? – esclamò Flavia fiera di sé – Sono stata brava?

La nonna sorrise, prese un coltello e si tagliò una fetta di torta. Poi l’assaggiò. E cominciò a tossire.

La piccola Flavia corse a prendere un bicchiere d’acqua, chiedendole se le fosse andata la torta di traverso, ma la nonna scuoteva la testa.

– Tesoro, sei sicura di aver seguito la ricetta della nonna?

– Sì, alla perfezione! Ho pesato attentamente ogni ingrediente… c’è qualcosa che non va?

La nonna la invitò ad assaggiarla, e Flavia lo fece senza esitare, sicura che fosse la torta più buona del mondo.

Ma il primo morso portò con sé una grossa delusione: la torta era salatissima! Anche Flavia cominciò a tossire, e la nonna le allungò il bicchiere d’acqua. Ma la bambina non ebbe la forza di prendere il bicchiere, tanta era la delusione che provava in quel momento.

Delle lacrime cominciarono a scenderle sulle guance, mentre la bambina ripeteva tra sé “no, non è possibile! Non può non essere buona, io faccio sempre tutte le cose perfette!

Fece per prendere una nuova forchettata, incapace di accettare la cosa, quando sentì la mano della nonna sul braccio.

– Tesoro, non ti preoccupare, capita a tutti di sbagliare…

Ma io non sbaglio mai! – rispose Flavia tra i singhiozzi, rintanandosi nell’abbraccio della nonna.

Hai semplicemente confuso il sale con lo zucchero – la rincuorò la nonna – nulla di grave, tesoro.

Poi la nonna le prese il viso tra le mani, le asciugò le lacrime con un fazzoletto e le disse:

Può capitare a tutti di sbagliare, lo sai? A te non capita spesso, ma ogni tanto anche a te può capitare di fare qualche errore.

Però… adesso ti ho deluso! – Flavia scoppiò nuovamente a piangere, mentre la voce serena della nonna la rassicurava

Oh… non mi hai deluso tesoro, è solo un piccolo errore. In cucina, e nella vita, capitano spesso, ma non ti devi spaventare. Perché quando si sbaglia si imparano cose nuove. E se si imparano cose nuove, si diventa più bravi. Ora dimmi: se facciamo un’altra torta, pensi che sarà più buona di questa?

Beh, più cattiva è impossibile… – rispose la bambina asciugandosi le lacrime – però stavolta mi dai una mano, vero nonna? Perché se siamo in due ci sono meno possibilità di sbagliare, vero?

La nonna sorrise: Flavia aveva imparato qualcosa oggi, anche se sembrava ancora aver paura di possibili errori, ma era già un piccolo passo.

Così si rimboccarono entrambe le maniche, buttarono via la vecchia torta e cominciarono a impastare. E stavolta Flavia si ricordò di assaggiare quei granelli bianchi, per assicurarsi di aggiungere davvero lo zucchero e non il sale!

Questa volta, la torta non era bella come la prima, era più bassa ed era un po’ storta, ma almeno era buona! E Flavia si era divertita molto a farla con la nonna, anche se non era la torta perfetta che si era immaginata a inizio pomeriggio.

Allora? – chiese la nonna – Com’è questa torta?

Flavia ci pensò un po’ su, poi rispose – è buona… ma non è molto bella… però la prossima che faremo sarà ancora più bella, vero nonna?

Pazienza, pratica e costanza ci fanno migliorare sempre abbastanza! – rispose la nonna in rima.

Conclusione

Ed eccoci arrivati alla fine di questo episodio del podcast di MyFedesign. Grazie per avermi dedicato un po’ del vostro tempo; spero che la puntata di oggi vi sia piaciuta.

Oggi abbiamo visto insieme il termine Fuek ( ฝึก ), che si può tradurre come “esercitarsi”, “fare pratica”, e ci ricorda che non è mai troppo tardi per imparare qualcosa di nuovo e che non c’è niente di male nel mettersi alla prova cercando di migliorarsi, anche se c’è il rischio di fare qualche errore.

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E mentre sorseggio il mio ultimo sorso di tè, vi auguro buona giornata e spero di rivedervi anche nella prossima puntata.

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